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MALEVOLENT CREATION – Dead Man’s Path (Century Media)

Creato il 02 dicembre 2015 da Cicciorusso

malevolent-creation-Dead-Mans-Path-2015Avete presente il septum, no? L’anello al naso, come quello delle mucche. Negli anni novanta, e sino a pochi anni fa, chi aveva il septum veniva considerato un derelitto. Infatti ce l’avevano solo i disadattati, i punkabbestia,  gli scoppiati da rave e i fumatori di crack. Oggi, nel 2015, ce l’hanno tutte le minorenni alla moda. E le Converse All Star? Erano il simbolo della straccionismo alternativo. Nella seconda metà degli anni novanta erano già abbondantemente superate ed infatti le indossavano solo punkabbestia e simili, tanto è vero che al mercato le trovavi a due soldi. Ricordo che ai tempi un mio amico, che usava praticamente solo quelle nei periodi caldi e gli anfibi quando faceva freddo, ne prendeva regolarmente minimo due paia alla volta per 10.000 lire e l’ambulante era sempre contentissimo di vederlo. Un giorno, addirittura, gli disse esplicitamente che quelle All Star erano avanzi di magazzino che comprava praticamente solo lui di volta in volta e che se avesse voluto gliele avrebbe vendute tutte a prezzo di costo pur di togliersele dal cazzo. Un giorno di qualche annetto fa qualcuno ha deciso che erano di gran moda e quindi le All Star sono arrivate a prezzi assurdi, finendo ai piedi delle fighettine radical chic finto-alternative vegane post-merdbook da mostra fotografica e apertivo alle 18.00. E la barba? Dopo essere stata una vera e propria legge negli anni settanta, è via via scomparsa dai visi dei giovani a partire dai primi anni ottanta, diventando sinonimo di emarginazione sociale, putridume e schifo. Da quel periodo in poi la barba – anche solo accennata –  non era diventata soltanto semplicemente out ma provocava ribrezzo e sguardi disgustati, nonché la simpatica etichetta di tossico, a prescindere da tutto. È stato così praticamente per una trentina d’anni, poi un giorno il solito “qualcuno” si è alzato dal letto e ha deciso che tre decadi di odio potevano bastare e che, anzi, avere la barba di mezzo metro era una cosa talmente figa che il reietto out, nonché lontanissimo dall’essere cool, era chi si radeva tre volte alla settimana, e quindi fu un fiorire di peli sulla faccia di chiunque che manco gli ZZ Top.

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Gli eventi, le circostanze, i contesti, le persone, le esperienze, o meglio, in una sola parola, il tempo gira e rigira, mischia le carte, modifica le prospettive, i punti di vista e l’ordine delle cose, in una sorta di caos primordiale che non smette mai di girare vorticosamente come un tornado, travolgendo tutto ciò che si ritrova davanti. Qualcuno tra i più anziani di voi si è mai soffermato a riflettere sul cambiamento graduale ma sostanziale letteralmente subito dal metal negli ultimi quindici anni? Avreste mai detto, ad esempio, che gruppi ai loro esordi considerati poser e falsi tipo i Korn o gli Slipknot  sarebbero stati, anni dopo, non solo tranquillamente  accettati dalle nuove generazioni, ma addirittura considerati dei veri e propri capisaldi del metal più mainstream, come magari potevano essere per noi, che ne so, gli Iron Maiden? Avreste mai detto che le camicione di flanella da boscaiolo americano (quelle a quadrettoni) che indossavate da ragazzini e che tenevano la fica lontana da voi come fa un posto di blocco della polizia con un corriere della droga sarebbero, qualche decade dopo, diventate un capo alla moda per le giovani fighettine amanti delle foto davanti allo specchio col cellulare in bella vista e la faccia da puttanone? La risposta è no, ovviamente. Il tempo, sempre lui, corre veloce come Usain Bolt inseguito dalla delegazione texana del KKK al gran completo, e in un secondo ribalta certezze, eroi, capisaldi e gusti, trasformando i giovani ribelli in noiosi adulti costretti a correre dietro al commercialista e alle tasse e mettendo al loro posto giovincelli completamente diversi nella forma, ma simili nella sostanza. Perché, parliamoci chiaro, il tempo cambia le persone e cambia la forma di ciò che ci circonda, ma non la sostanza, appunto: ci sarà sempre qualche sbarbatello poco incline ai dettami della massa che sceglierà di aderire ad un sottogruppo più piccolo, diverso nella forma dal sottogruppo della generazione precedente, così come il precedente era formalmente diverso dal suo predecessore e così via, andando indietro sino all’alba dei tempi. È una questione generazionale, in sostanza, né più e né meno, a cui, volenti o nolenti, dobbiamo sottostare tutti. Certo, intendiamoci:  scoprire, ad un tratto, che sei, per forza di cose, passato dall’altra parte della barricata e che qualcuno ha inevitabilmente preso il tuo posto non è proprio il massimo, ma ci si abitua anche a quello, con il tempo. Eh, sì: il tempo, c’è sempre lui di mezzo.

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Quando ero ragazzino i Malevolent Creation erano senza dubbio uno dei miei gruppi preferiti. Ma che cazzo dico? Erano quasi degli eroi per me. Ricordo come fosse ieri il pugno in faccia che mi diede The Ten Commandments, il loro esordio del ’91, un disco assurdo, nonché tra i fondamentali del death metal americano. Potrei anche parlare delle innumerevoli volte che mi sparavo a palla In Cold Blood, ma sarebbe noioso e poi il senso del discorso penso sia già chiaro. Non sono più un ragazzino da un pezzo, purtroppo, e non ho più niente da chiedere ai Malevolent Creation, né altro da pretendere. E non potrebbe essere altrimenti. Cioè, dai: Phil Fasciana ha scritto la roba di cui sopra (e non solo), ha sbagliato pochissimo e, anni fa, inventò di aver sparato in faccia ad un rapinatore in un negozio mentre andava a comprare il latte al cioccolato. Ma che cazzo vuoi dire ad uno così? Niente. Qualcuno vuole davvero che parli di questo Dead Man’s Path? E cosa dovrei scrivere? Ho superato i trenta, il commercialista mi chiama per chiedermi cose riguardo fatture, pagamenti vari, leasing, contributi, consulenti del lavoro e simili, esordendo quasi sempre con un laconico e chiarissimo “MA CHE CAZZO HAI COMBINATO QUI?”. Siamo a dicembre e questo periodo per me ormai da anni non vuol dire più vacanze/feste/sbronze/zero pensieri, visto che si è trasformato in bilancio di fine anno/ho le palle a mongolfiera e per fortuna c’è qualche giorno di riposo/vaffanculo.

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Vi siete annoiati a leggere ‘sta roba, eh? Beh, sapete quanto me ne fotte. Anche io mi sono annoiato, a tratti, ascoltando questo disco, ma non ne faccio una tragedia. Anzi: penso sia normale. Sono cresciuto con le pietre miliari di questo gruppo quando ero in età adolescenziale, quindi come può entusiasmarmi Dead Man’s Path nel 2015? Mi piace pensare, anche se non è vero, che leggendo questa roba un giovinetto che non aveva mai sentito nominare i Malevolent Creation prima d’ora andrà ad ascoltare questo disco e poi si sparerà tutta la loro discografia, abbandonando il penoso deathcore, togliendosi dilatatori e cappellini storti e facendosi crescere i capelli, ricevendo dai capolavori passati di questo gruppo almeno la metà di quanto hanno dato a me. Perché, ripeto ancora: è tutto un ciclo. Una cosa, qualunque cosa, nasce, si sviluppa, raggiunge l’apice e poi, inesorabilmente, va giù, sino a morire. Ma la parabola si può allungare verso l’alto, se qualcuno, ad un certo punto, dà il cambio a chi per anni l’ha tenuta su. Io chiedo la sostituzione, insomma. E frega un cazzo se al mio posto non entrerà nessuno: esco e basta. Dovrebbero farlo anche i Malevolent Creation, forse? Per me sì, ma se a qualcuno piacciono ancora le loro giocate, allora è giusto che rimangano in campo. Perché, ok, è una ruota che gira, destinata prima o poi a fermarsi, ma se quando sta per farlo qualcuno tira la leva ovviamente continua a girare. Erano anni che non seguivo più questo gruppo e forse era meglio così, perché, a volte, i cicli si chiudono definitivamente per non riaprirsi mai più. Mentre scrivevo queste righe mi ha chiamato la consulente del lavoro berciando roba tipo HAI FATTO UN CASINO ed in quel preciso istante ho pensato che i tempi in cui a gridarmi nelle orecchie era Brett Hoffmann erano molto meglio. Vabbè, grazie al cazzo. Nel senso: fate voi. (Il Messicano)



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