E’ stata pubblicata dalla casa editrice CFR un’accurata raccolta di venti poesie della poetessa polacca Malgorzata Hillar, scelte e tradotte da Paolo Statuti. Una poetessa forse poco conosciuta in Italia e tardivamente apprezzata anche nel suo paese ma che merita grande attenzione sia per la presa emotiva che i suoi testi hanno sul lettore sia per il dettato asciutto ed essenziale della versificazione. Malgorzata Hillar nacque a Piesienica il 19 agosto del 1926 e morì a Varsavia il 30 maggio 1995, dopo una vita infelice, gravata da dolorosi travagli fisici e psico-emotivi. Pubblicò le prime poesie, giudicate dai critici superficiali e immature, sulla rivista Nuova Cultura, ma nel 1957 il suo volume “La brocca d’argilla” fu considerato dall’Associazione dei Librai Polacchi “il miglior debutto dell’anno”. Con le successive due raccolte, “Preghiera al timo-Poesie erotiche”, del 1959, e “Gocce di sole”, del 1961, Malgorzata Hillar dimostrò di essere una delle più autentiche voci poetiche della seconda metà del ‘900. Tra coloro che la apprezzarono ci fu il critico e poeta Bienkowski che scrisse della sua poesia in modo lusinghiero e che la Hillar sposò. Nel 1967 con il libro “Aspettando Dawid” la poetessa affrontò i temi del femminismo e dell’istinto materno e ottenne un buon successo. Al ritorno dal viaggio in America, realizzato grazie ad una borsa di studio ottenuta dal marito, nel 1970 la Hillar venne da lui abbandonata per un’altra donna. Distrutta dalla sofferenza per la solitudine a cui si sentì consegnata, sprofondò nella depressione e nell’alcolismo e smise di scrivere. Nel 1985, decisa ad affrontare un percorso riabilitativo, entrò a far parte del gruppo Alcolisti Anonimi e sollecitata dagli amici della comunità riprese a scrivere, ma il suo volume “Pronta a resuscitare”, di cui aveva già scritto l’introduzione, uscì solo dopo la sua morte.
Le poesie di Malgorzata Hillar s’insinuano dolcemente nell’anima del lettore suscitando una piena partecipazione emotiva; il verso breve e il lessico apparentemente povero comunicano istantaneamente una verità umana e poetica. La sua tragica vicenda esistenziale è nascosta dentro “il cestino delle parole calde come lana di pecora”, parole di tutti i giorni, declinate in versi composti ed essenziali, distanti dalla rabbia e dalla ribellione di quegli autori a lei coevi che esprimevano il disagio del secolo dei cambiamenti. “Noi della seconda metà del XX secolo/ che disintegriamo l’atomo/ che conquistiamo la luna/ ci vergogniamo/ dei teneri gesti/ degli sguardi amorevoli/ dei caldi sorrisi”. Versi che si qualificano come profondo monito a lasciare che sia l’amore a guidarci in ogni nostra esperienza, perché infine, quando il buio ci sommergerà, non abbiamo a dolerci della sua mancanza. “Soltanto a tarda notte/ con le tende/ ermeticamente tirate/ ci mordiamo le labbra dal dolore/ moriamo d’amore”.
Anna Maria Bonfiglio
Noi della seconda metà del XX secolo
Noi della seconda metà del XX secolo
che disintegriamo l’atomo
che conquistiamo la luna
ci vergognamo
dei teneri gesti
degli sguardi amorevoli
dei caldi sorrisi
Quando soffriamo
storciamo
noncuranti la bocca
Quando arriva l’amore
alziamo sprezzanti
le spalle
Forti cinici
con gli occhi ironicamente
socchiusi
Soltanto a tarda notte
con le tende
ermeticamente tirate
ci mordiamo le labbra dal dolore
moriamo d’amore
Il nido
Ogni notte
lei si addormentava
nel sicuro nido
delle sue braccia
che impediva l’accesso
ai rapaci uccelli
della solitudine
Lui la ritrovava
tra i neri rami
del sonno
per dire
che era
per lei
Nella notte
più nera
lei abbandonò
il nido sicuro
delle sue braccia
e si smarrì
nell’oscurità
Adesso
tra gli alberi notturni
alle taccole che dormono
i caldi nidi
invidia
Il ricordo delle tue mani
Quando ricordo
la carezza delle tue mani
non sono più una bambina
che si pettina tranquilla
sistema le pentole di coccio
sul ripiano di pino
Impotente sento
le fiamme delle tue dita
che accendono la nuca le spalle
Resto così a volte
a metà giornata
sulla bianca strada
e copro la bocca con la mano
Non posso mica urlare