Nel lontano 1963, tre anni dopo l’indipendenza del Mali dalla Francia, una prima insurrezione di Tuareg fu repressa dal regime di Modibo Keita grazie all’aiuto dell’Algeria.
E i morti sul terreno furono parecchie migliaia.
Nel 1990, per il ripetersi e il moltiplicarsi di estorsioni mese in atto dall’esercito maliano contro famiglie tuareg rientrate dall’Algeria e accampate presso Kidal, molti giovani tuareg, temendo inevitabili massacri come nel confinante Niger, presero le armi contro il potere centrale di Bamako.
Dopo mesi di guerra, nel gennaio 1991, con la mediazione sempre dell’Algeria, si arrivò all’accordo di pace di Tamanghasset che avrebbe dovuto costituire un punto fermo nell’intesa tra le parti.
Nell’aprile 1992, infatti, fu siglato un patto nazionale che prevedeva uno statuto particolare per le regioni di Gao, Timbuctu e Kidal, le cui popolazioni avrebbero dovuto beneficiare di una certa autonomia.
Si prevedeva in esso un investimento molto speciale da parte dello Stato centrale per aiutare il nord nei suoi ritardi in termini di sviluppo economico.
Gli accordi, però, non furono mai rispettati.
Nel 2006 una nuova ribellione costrinse Bamako a nuovi negoziati con i tuareg.
Infatti, il 2 luglio dello stesso anno,ancora ad Algeri, ci si accordò su una maggiore integrazione sociale, economica e culturale delle popolazioni del nord del territorio del Mali.
Ma quest’integrazione ,nei fatti, non c’è mai stata anche perché ,culturalmente, i Tuareg erano e sono molto fieri delle loro tradizioni.
Alcuni, tuttavia, si sono piegati, snaturandosi ,e sono divenuti solo dei figuranti ad uso dei turisti, un po’ come accade anche per i Masai del Kenya.
Oggi però le “cose” in Mali sono molto più complesse di un tempo per quanto riguarda gli ultimissimi eventi.
Soprattutto, cavalcando il malcontento delle popolazioni del nord, Tuareg inclusi, lo spettro dell’Islam fondamentalista, e perciò intransigente, aleggia insieme al caos totale delle istituzioni centrali maliane, che stentano ad imporsi e a portare l’agognata stabilità nel Paese in quanto i militari golpisti, comunque, non hanno intenzione alcuna, a quanto pare, di mollare la presa.
Senza dire poi che, dopo la caduta del regime di Tripoli, con Gheddafi, che a suo modo faceva un po’ da ago della bilancia, paradossalmente tutta l’area saheliana , dalla Libia all’Algeria, dalla Mauritania al Niger è a rischio terrorismo islamico.
In particolare hanno già fatto la loro spettrale comparsa gli eredi dei Salafiti , quelli che predicano e combattono, facendo parecchio danno.
Cui nulla osta, quando hanno messo radici.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)