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Il 29 agosto 1999 i Malibran dividono il palco con il leggendario Banco Del Mutuo Soccorso. La data avrebbe dovuto essere solo nostra, con più tempo per il nostro show, ed un compenso maggiore. Ma mi era stata offerta l’occasione di suonare insieme ad un gruppo di rilievo; io avevo sempre amato il Banco, ed avevo anche un contatto a Roma che avrebbe potuto portarmi fino a loro, dunque non avevo avuto dubbi nella scelta. In effetti, tramite questa persona, che conosce personalmente sia me che i componenti del Banco, riesco a tessere la tela che renderà fattibile quello che un tempo avrei creduto irrealizzabile: poco tempo dopo, eccomi al telefono con il loro manager. E, successivamente, con Vittorio Nocenzi e Rodolfo Maltese, che sono in macchina: la cosa è quasi surreale, perché parliamo come se ci conoscessimo già. “Ti passo Vittorio”, mi dice Rodolfo. Ed ecco quella voce bassa e pastosa: la stessa che recitava “Lascia lente le briglie del tuo Ippogrifo, O Astolfo”, proprio all’inizio del primo disco del gruppo (A.D. 1972). Con la piccola differenza che adesso sta parlando con me, mentre io sono a casa. La cosa ancora più strana è che io, forse proprio per la cordialità e la semplicità con la quale Vittorio mi parla, non mi sento emozionato più di tanto, e comunico con lui e Rodolfo come se fossimo “colleghi di musica” da anni. Ci risentiamo, e parliamo dell’aspetto tecnico del concerto: naturalmente suoneremo prima noi, e Vittorio Nocenzi mi chiede se sarà possibile fargli trovare qualcosa per reggere le tastiere, o non so cos’altro. La mattina del 29 andiamo a prenderli all’aeroporto, io e Giancarlo dei Malibran, più un amico, che si presta gentilmente ad ospitare qualcuno della band nella sua macchina. Avevo conosciuto Rodolfo Maltese prima del concerto del Banco alle Ciminiere di Catania, nel 1997. In quell’occasione era rimasto un po’ sorpreso, quando lo avevo anticipato, dicendo di sapere della loro esibizione al teatro Malibran di Venezia del 1975. Ma non credevo che mi avrebbe subito riconosciuto, due anni dopo. E invece, appena mi vede, il suo volto barbuto si illumina in un ampio sorriso, ed alza il braccio per salutarmi, segnalandomi così che sono arrivati. Quella stessa estate hanno suonato in Messico, accolti come star. Qui nessuno ci importuna ed io, oltre a parlare con loro e con Carlo Di Filippo, il loro fidato fonico (eccezionale il suono di “Nudo”, nella parte live registrata a Tokyo), mi metto pure a fare le riprese. Chissà perché, temo che Vittorio Nocenzi possa infastidirsi. E invece lui saluta! Fa un gran caldo, e mentre viaggiamo in macchina alla volta di Belpasso (dove si suonerà la sera stessa), il cielo è tutto azzurro. Li lasciamo a riposare in un albergo del paese, ma chiacchierando ancora un po’. Francesco mi racconta che suo suocero gli diceva: “Si, vabbè, ho capito, tu suoni… ma di mestiere…c he fai?”. Il tutto sottolineando la parola “mestiere”, come se la musica non potesse essere anche questo, ma solo un passatempo, un “balocco con il quale trastullarsi”, mi verrebbe da dire. Solo quando aveva realizzato che il cantante del Banco si era comprato casa sua coi proventi di quel “passatempo” si era finalmente reso conto che di musica si poteva anche vivere! Nel frattempo io ricordavo quando, da piccolo, avevo visto il Banco in TV ed avevo appreso nome del cantante dalla sua stessa voce, al microfono, quando, presentando uno per uno i componenti del gruppo, aveva concluso dicendo: “Ed io, Francesco Di Giacomo”. Doveva essere più o meno il 1980 e Rodolfo suonava anche la tromba. Adesso “Big” Francesco indossa una maglietta nera con la copertina del disco in cui si vede lui stesso lanciare per aria una scarpa (“Banco”, 1975, coi testi in inglese di brani del primo e terzo disco, edito dalla “Manticore” degli E.L.P.): un ricordo della recente trasferta messicana. Nel 2006, invece, prima di un loro concerto a Cittanova (in Calabria) mi racconterà di essersi ritrovato ad alloggiare in un postaccio senza doccia, vedendosi costretto a lavarsi con un secchio d’acqua e, credo, usando un detersivo per lavare i piatti al posto del bagnoschiuma! Ad ogni modo, torno a casa, mi riposo, e nel pomeriggio ecco la sorpresa del brutto tempo. Ma come, questa mattina il sole spaccava le pietre e adesso, a poche ore dal concerto, si mette a piovere? Non solo: è arrivato il camion con tutta la loro strumentazione, e ha trovato il palco “recintato” da assi di legno, che impediscono di scaricare il tutto.Mi chiama il manager e mi intima che, se il palco non sarà facilmente accessibile, il Banco non suonerà. Giusto per stare tranquilli! Così contatto un addetto al Comune, il quale, per fortuna, riesce a far rimuovere quelle stupide ringhiere di legno e ferro. Il tempo è ancora incerto, ma adesso non piove e porto Francesco Di Giacomo ad un bar che conosco, non lontano dalla piazza dove in serata terremo il concerto: vuole prendere dei dolci tipici da portare a casa. E nel frattempo mi racconta un sacco di cose. Anche che, mentre suonava in un locale in Germania (presumo con “Le Esperienze”) ha conosciuto un tipo chiamato Ritchie Blackmore (!). Il tutto prima della nascita sia del Banco che dei Deep Purple. Mi manifesta stima nei confronti di Piero Pelù, mentre torniamo dal bar alla mia vecchia Panda grigia. Ed è in quel momento che noto un particolare cui non avevo fatto caso, vedendolo sul palco: trascina un piede. E non è più grosso ed imponente come una volta. Un’immagine che mi aveva colpito fin da bambino, quando non lo avevo neanche mai ascoltato. E che anche mio padre riconosce, pur ascoltando solo musica classica. Vede quell’immagine e dice: “Banco”. Anche mio padre li vedrà, quella sera, e alla fine commenterà, semplicemente, che il paese neanche se lo sarebbe neanche meritato un gruppo di quel livello. D’altro canto sento anche alcune ragazzine sedute dietro il palco, lamentarsi confabulando tra loro e dicendo “Ma chi sono questi? Non potevano portarci Nek?”. Peggio in un’altra occasione, a Centuripe: Banco Del Mutuo Soccorso sul palco, e altre ragazzine a strillare: “Respiri piano per non far rumore…”. E’ stata l’unica volta in cui ho visto Francesco, davvero stizzito, voltarsi verso Vittorio Nocenzi e sbottare in un “A Vittò…” che diceva tutto. A Belpasso, invece, l’unico problema può essere rappresentato da un’eventuale, malaugurato acquazzone, dal momento che il cielo non promette niente di buono. Comunque io sono sul palco e filmo le prove del Banco, e il Di Giacomo che si intrattiene con alcuni fans del posto, compreso qualche amico mio. Anche a Cittanova 2006 riprenderò le loro prove, oltre a parlare con Tiziano Ricci (il bassista) del loro show pomeridiano al concerto del 1° maggio 2002 in Piazza S. Giovanni, con Morgan E John De Leo ospiti (io l’avevo registrato su VHS…). A Cittanova avevo anche consegnato a Francesco un CD contenente una mia versione di “Canto di Primavera”(1979) e poi avevo filmato tutto lo show, che si sarebbe aperto da “Metamorfosi” (e che dunque avrebbe visto Francesco entrare in scena tra gli applausi solo dopo 10 minuti di musica esclusivamente strumentale). Avevo parlato con lui già dopo un loro concerto del 1991, mentre mi facevo fare un autografo per me e la band: a quel punto lui mi aveva chiesto: “Ma tu lo sai chi era la Malibran?”, riferendosi alla cantante d’Opera dell’800, aggiungendo: ”E pare che morì cadendo da cavallo… ah, se allora ce fossero stati i taxi…”. All’interno del teatro Nino Martoglio di Belpasso ci cambiamo, sia noi che i componenti del B.M.S. I camerini sono diversi, ma le porte non sono chiuse e possiamo anche guardarci a vicenda, senza problemi. Quando mi ritrovo sul palco, so che suonerò la chitarra utilizzando l’amplificatore di Rodolfo Maltese, mentre Alessio suonerà la batteria di Maurizio Masi. Dovevamo essere noi a prestare qualcosa al Banco, e invece, sta succedendo il contrario! Diversamente da quanto sarebbe successo coi Jethro Tull, qualche anno dopo. In una cosa, però, siamo loro d’aiuto: proprio per il bis finale (“Non mi Rompete”) Rodolfo Maltese ha bisogno del capotasto per la chitarra, ma non lo trova: chiede se ne abbiamo uno noi, e Jerry gli consegna subito il suo. Rodolfo è salvo! Dietro di me Vittorio Nocenzi mi sollecita a partire immediatamente con il nostro show: se piove e non si è ancora iniziato a suonare, nessuno verrà pagato! Così cominciamo, praticamente senza fare sound check (del resto mi fido di Carlo Di Filippo al mixer). La piazza è piena, ma non quanto avrebbe potuto esserlo, se il tempo fosse stato migliore. Laura, la mia ex ragazza, vorrebbe fare le riprese con la mia videocamera, ma quest’ultima è chiusa in macchina, e non ho il tempo per cercare le chiavi: attacchiamo, e suoniamo bene. Durante la parte finale di “On the Lightwaves”, sul tempo dispari, con Jerry che si scatena nel suo assolo, intravedo Vittorio Nocenzi accovacciato dietro di noi, che gode come un pazzo muovendo la testa a tempo ed agitando i capelli: un grande! A fine concerto (nostro e del Banco) sarà lui a salire sulla mia macchina, per andare a mangiare qualcosa nel pub poco più sopra della piazza: si congratula con noi, parla bene di Jerry, aggiungendo che siamo comunque tutti bravi. Detto da lui, devo crederci!Mentre suonavano loro, invece, io cantavo le canzoni insieme a Laura, parola per parola: bellissimo! Al tavolo del pub, nel cortile interno, sono con Vittorio accanto, e Rodolfo di fronte: dunque parlo a lungo con entrambi. Rodolfo è una splendida persona, e non mi nasconde la sua gioia per il privilegio di poter vivere facendo della sua passione il suo lavoro (tempo dopo mi invierà i suoi auguri di Natale). Al pub non mangiamo molto, perché a quell’ora la cucina del locale è ormai chiusa. Ci rifaremo l’anno dopo: io e Giancarlo andremo a vedere Francesco cantare pezzi dei Beatles (e qualcosa del Banco) a Caltanissetta, accompagnato da un semplice “duo” acustico (compreso Rodolfo Maltese): alla fine dello show, gentilmente, Di Giacomo ringrazierà anche “i Malibran”. E questa volta ceniamo insieme come si deve, parlando di musica e di qualsiasi altra cosa. E’ in questa occasione che lui sbotta in un simpatico: “E mò basta cò stò Darwin, vojo cantà Papaveri e papere!”. Durante il Festival di Sanremo del febbraio 2014, quando Fabio Fazio comunica in diretta che Francesco ci ha lasciati quello stesso giorno (un malore mentre guidava, con conseguente incidente stradale), io avevo appena spento la TV, e apprendo il tutto la mattina dopo. Il pubblico dell’Ariston, alla notizia, si era alzato in piedi ad applaudire, mentre veniva mostrata una sua immagine. Vittorio, che lo aveva visto poco prima dell’incidente, viene a conoscenza del fatto attraverso una telefonata, e in un primo momento aveva pensato ad uno scherzo. “Non mi svegliate, ve ne prego, ma lasciate che io dorma questo sonno”, sembrava invece cantarci già da altri luoghi Francesco Di Giacomo, soprannominato da quanti gli erano più vicini “Capitano, mio capitano”(dal film “L’attimo fuggente”). Il Banco deciderà di proseguire perché, citando ancora una loro canzone, quel progetto è “Un’idea che non puoi fermare”. Nonostante sia a tutti ben chiaro che “Dopo, niente è più lo stesso”.Giuseppe Scaravilli, aprile 2015
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