Mamasa e Toraja sono il cuore della cultura tradizionale di Sulawesi, due luoghi da molti punti di vista simili e legati da una cultura comune ma allo stesso tempo molto diversi. Alcuni sostengono che la valle di Mamasa è ciò che era Tana Toraja prima dell’arrivo dei turisti, ma anche questa forse è una forzatura. In realtà l’affascinante cultura dei Toraja è ancora al centro della loro vita ed è stata cambiata solo in minima parte dal turismo: si è persa però quella genuinità e spontaneità tipica di molti indonesiani che hanno la fortuna ( o sfortuna ? ) di vivere in posti ancora non sfruttati dal turismo.
Ma perché Mamasa è riuscita ad arrivare fino al 2013 praticamente incontaminata dal turismo? Guardando la cartina di Sulawesi sembra vicinissima a Rantepao, la capitale di Tana Toraja, e anche abbastanza facilmente raggiungibile dalla costa. In realtà la valle è molto più isolata di quanto sembri: la strada principale da Polewali è pessima e basta qualche giorno di pioggia per renderla quasi impraticabile, mentre quella che porta a Rantepao è addirittura peggiore ed è percorribile solo con Land Rover o simili e non sempre. Alcuni la fanno a piedi, si tratta di un facile trekking tra villaggi di un paio di giorni.
Ma il motivo principale per il quale i turisti non vanno a Mamasa è un altro: non ci vanno perché lì non puoi fare il turista. Non ci sono hotel con tutte le comodità ( già l’acqua calda è considerata un optional di lusso ), internet è di una lentezza allucinante, non ci sono ristoranti che ti fanno pancakes, pizze o specialità cinesi, se ti serve una guida, un ojek o una macchina devi sbatterti tu per trovarli. C’è qualche mappa dei villaggi che gira su internet ma vanno prese con il beneficio d’inventario, non è improbabile trovare degli errori nei sentieri. Le strade sono in gran parte sterrate e molto fangose, bastano poche ore di pioggia ( molto frequente da queste parti ) e diventa tutto un pantano. Obiettivamente devo dire che l’architettura delle abitazioni ( tongkonan ) dei villaggi della valle è meno affascinante e “fotogenica” di quella di Toraja, anche perché non avendo gli introiti del turismo i restauri a quelle più antiche sono stati fatti alla buona ( spesso rifacendo il tetto di legno e paglia con lamiera ). Anche le cerimonie, compresa quella funebre, sono meno elaborate e fastose di quelle di Toraja, che ormai sono diventate delle vere e proprie attrazioni turistiche ( anzi in realtà sono l’attrazione principale, infatti l’alta stagione coincide con quella dei funerali ). In ogni caso ci sono dei villaggi isolati davvero splendidi, incastonati in una natura selvaggia e incontaminata, dove la gente è stupita di vedere dei viaggiatori e dove le antiche tradizioni continuano ad essere parte integrante della loro vita. I Mamasiani sono molto amichevoli, onesti, sempre sorridenti e gentili. E’ il classico posto dove puoi incontrare facilmente il tizio che ti offre un passaggio in motorino piuttosto che quello che ti invita a pranzo o a bere un caffè, senza secondi fini, solo per dimostrarsi ospitale e per conoscere meglio qualcuno che viene da un paese così lontano. Sono quasi tutti religiosissimi, in gran parte cristiani protestanti, anche se l’animismo tradizionale è riuscito in qualche modo a rimanere parte integrante delle loro vite. Sembrano anche persone molto laboriose, quindi dopo un po’ ci si chiede perché nessuno fa nulla per rendere il posto più appetibile dal punto di vista turistico ( sfruttando il traino di Tana Toraja ) o semplicemente per renderlo più moderno costruendo strade e infrastrutture. La risposta è quella più semplice e logica: la politica indonesiana è molto corrotta e le promesse dei candidati vengono regolarmente disattese. I soldi finiscono tutti nelle tasche dei politici e dove non c’è un evidente ritorno economico ( tipo a Bali o a Java ) non si investe nulla.
I miei giorni tra Mamasa e Toraja sono stati caratterizzati dalla pioggia: una volta arrivato a Makassar ero convinto di essermi lasciato alle spalle la stagione delle piogge ma poi in realtà da quando ho lasciato la costa ha piovuto praticamente ogni giorno. E a differenza del Kalimantan, dove pioveva tantissimo ma per poche ore al giorno, qui spesso la pioggia durava anche tutto il giorno. Comunque ormai ho una certa esperienza di clima tropicale e riesco a fare qualche previsione e a sfruttare quei giorni dove sembrano esserci delle schiarite. In genere una buona scommessa se si vuole fare delle escursioni è partire molto presto la mattina, quando di solito non piove anche quando è nuvoloso.
A Mamasa sono riuscito comunque a fare varie escursioni tra i villaggi:
A Rante Buda c’è il Tongkonan meglio conservato e una simpatica guida ( che si offre ma senza insistenza ) disposto a raccontarti la storia del villaggio. A Taupe ci sono belle case tradizionali, una chiesa anch’essa col tetto tipico mamasiano, un pittoresco cimitero e tanta gente simpatica. Quando sono arrivato pioveva e mi hanno subito invitato in una casa a bere caffè ( molto buono da queste parti ). Purtroppo a causa del maltempo non ho potuto vedere il panorama che secondo i locali è molto bello. Mi sono rifatto però il giorno dopo quando ho fatto un lungo giro tra villaggi fino al bellissimo Ballapeù, dove ci sono più di 100 case tradizionali e dove vivono ancora una vita molto semplice. Dal villaggio in una mezz’ora si può salire anche una cima, Mussa, dalla quale si può godere di un fantastico panorama su queste verdissime colline. L’ultimo giorno volevo andare a vedere la cascata Sarambu, una delle più alte di Sulawesi, ma alla fine credo che dei contadini mi abbiano dato delle indicazioni sbagliate perché il sentiero a un centinaio di metri dalla cascata si interrompeva e non c’è stato verso di continuare. E’ stata comunque un’escursione molto bella in un ambiente super-selvaggio, tra piante strane anche carnivore e villaggi molto isolati dove davvero la gente ti guarda come un se fossi un marziano.
Se escludo Bali, Rantepao è il posto più turistico che ho visitato in Indonesia. Qui i turisti arrivano in massa, per molti di questi Toraja sarà l’unica tappa nell’isola di Sulawesi ( probabilmente tra Bali e Komodo o Flores ) e non è difficile capire l’impatto che ha avuto il turismo organizzato in una realtà fondamentalmente rurale come questa. Molti Toraja ormai vivono di turismo: è sicuramente in parte una cosa positiva ma questo tipo di turismo porta con sé anche il peggio della cultura occidentale, e quindi i danni sono notevoli.
Comunque non c’è molto da fare, la cultura dei Toraja è una delle più strane e affascinanti del mondo, i paesaggi sono spettacolari e i villaggi delle autentiche opere d’arte, quindi i turisti continueranno ad arrivare. Però quando arrivo in posti anche bellissimi come questo e vengo subito approcciato dalle guide che ti vogliono fottere o incontro bambini che allungano la mano chiedendoti dollari e euro ( no rupees please ) vengo subito preso dallo sconforto e vorrei andarmene prima possibile.
Le cose da vedere a Tana Toraja sono moltissime, secondo me ci vuole minimo una settimana per visitare i posti più interessanti ( sperando nel bel tempo ). Si può girare con minibus, auto a noleggio, becak e ojek, ma secondo me il modo migliore e più economico è affittare una moto ( si trovano ovunque in centro a Rantepao a prezzi più che ragionevoli ) che consentirà di avere molta più libertà e di raggiungere anche villaggi più isolati.
Buntu Pune e Ke’te Kesu: Sulla stessa strada a circa 5 km da Rantepao questi due villaggi sono tra i più fotogenici di Tana Toraja. Il primo è piccolo ma molto ben conservato e quasi snobbato dai turisti mentre il secondo è uno dei più famosi e frequentati, forse la più classica “cartolina” di Toraja. Fortunatamente quando l’ho visitato non c’era nessuno, quindi me lo sono goduto nel silenzio e in solitudine e mi è piaciuto molto. Ma penso sia stato un caso perché qualche giorno dopo sono passato per la stessa strada in moto e c’erano un sacco di corriere di turisti. Dietro al villaggio a circa centro metri c’è il sito dove venivano appese le bare su una parete di roccia. Molte sono cadute e ci sono ossa umane sparse ovunque, ma il luogo è senza dubbio molto suggestivo. Ci sono anche dei tau tau ( una specie di manichini di legno piuttosto inquietanti con grandi occhi che ti guardano con sospetto ) sia antichi che recenti.
La’Bo, Paniki e Bokin: Ho fatto questo giro girando un po’ a casaccio con la moto e mi è piaciuto molto, anche se nell’ultimo tratto la strada era quasi impraticabile e alla fine sono tornato indietro per evitare di rischiare di bucare. Bei villaggi realmente tradizionali, gente molto bella e verace e panorami mozzafiato tra le risaie terrazzate.
Lemo: E’ il sito più famoso dei tau tau, c’è un’intera parete con varie nicchie a balcone. Un classico da fotografare ma il sito in sé è meno interessante di altri.
Londa: altro sito famoso per i tau tau ma anche per le grotte dove ci sono moltissime bare. Molto bella la balconata all’ingresso e le campagne circostanti. Attenzione alle guide furbette che chiedono finti contributi alle famiglie dei defunti.
Batutumonga, Lokomata, Pana e Tikale: fantastico giro da fare in moto o in macchina, si sale alle pendici del Gunung Sesang e una volta raggiunta Batutumonga si può godere di scorci favolosi sulle verdissime vallate tutte coltivate a risaie terrazzate. A Lokomata c’è uno dei siti più strani con molte tombe scavate nella roccia. A Pana invece c’è quello forse più antico con anche delle tombe di bambini. In tutto questo anello si possono vedere numerosi villaggi tradizionali Toraja. E’ un giro molto turistico nella prima parte ed è abbastanza probabile incontrare un sacco di gente nei vari viewpoints.
Pasar Bolu ( mercato settimanale ): questo mercato si svolge ogni 6 giorni poco fuori Rantepao ed è sia un normale mercato dove si vende un po’ di tutto, dal caffè ai galli da combattimento, che un mercato del bestiame. In realtà si vendono soprattutto i bufali che per i Toraja sono molto preziosi, una specie di status symbol, visto che in caso di un funerale è necessario ammazzarne molti. Dicono che sia il mercato di bufali più grande del mondo, ce ne sono centinaia di ogni tipo: quelli più belli, albini, possono costare oltre 10.000 euro. E’ senza dubbio un’ottima occasione per scattare splendide foto.
Come ho detto in precedenza i funerali Toraja sono una delle principali attrazioni dell’Indonesia e moltissimi turisti vengono a Rantepao quasi esclusivamente per assistere a queste strane cerimonie. Quasi sicuramente appena arriverete in città verrete approcciati dalle guide che vi diranno che per assistere ai funerali è necessaria o addirittura obbligatoria una guida e altre fandonie simili: NON E’ VERO! Si può andare per proprio conto e una volta sul posto nessuno ti chiederà nulla. Infatti ormai il fatto che la cerimonia sia diventata una cosa turistica è accettato da tutti e mentre si assiste nessuno ti considera, non serve nemmeno chiedere il permesso per fare foto. E’ però considerato un gesto educato presentarsi con dei regali, tipo sigarette, birre o dolci. Come nel caso dei nostri funerali bisognerebbe indossare abiti sobri e possibilmente neri ( a quello che ho visto io però c’era l’immancabile coppia di amiche australiane che non sanno un cazzo del mondo con canottiera e pantaloncini corti in jeans ). Per informarsi sulle date dei funerali basta andare all’ufficio del turismo sulla strada principale di Rantepao. Il funerale in genere dura sui 5 giorni, anche se i giorni più interessanti sono i primi, quando vengono uccisi e macellati i bufali e i maiali. Questi animali vengono sacrificati perché i Toraja pensano sia necessario che l’anima del defunto venga accompagnata nell’aldilà da quelle dei bufali e dei maiali. L’atmosfera sembra più quella di una sagra di paese che quella di un funerale: ci sono varie capanne aperte di bamboo dove i vari invitati mangiano, bevono e si raccontano storie. Questo funerale viene celebrato a qualche mese dal primo con rito cristiano, nel frattempo la salma rimane conservata nella casa dei parenti. La stagione dei funerali è tra luglio e settembre, anche se è abbastanza probabile trovarne qualcuno in corso durante tutto l’anno.