Magazine Diario personale

Mamma ho perso l’aereo

Da Iomemestessa

Ora. Un Boeing 777 è grossino. D’altronde carica 200 e spingi passeggeri, e son cose. Che gli aerei possano cadere, è evento sciagurato ma non impossibile. Qualche volta cadono motu proprio, altre con la valida collaborazione di terzi.D’altronde anche le automobili possono scontrarsi, i motociclisti cadere, e pure fare il pedone, certi giorni, è avventura pericolosa.

Però, gli aerei non spariscono. Finiscono in fondo al mare, esplodono in cielo, si schiantano sulle piste, ma qualcosa di loro rimane. Foss’anche un passaggio su un tracciante.

Che poi, in questo immenso Truman show di cui siamo involontarie e un po’ rincoglionite comparse, i servizi di Intelligence sanno perfettamente anche quanti peli nel naso ha un qualunque satrapo di sperduto Paese di cui non sapremmo neppure pronunciare correttamente il nome, figuriamoci se nessuno sa che fine ha fatto il Boeing malese.

S’azzardano pertanto ipotesi:

1. Qualcuno stava facendo una qualche operazione militare da quelle parti, si è distratto un attimo ed il Boeing è venuto giù col suo carico di storie e speranze. Nel caso, non lo sapremo mai. O ci metteremo secoli a scoprirlo, Ustica docet.

2. Stavano cercando di seccare uno di quei satrapi locali ante menzionati, e han preso per sbaglio il Boeing. Ustica docet, nuovamente. Qui l’abbaglio è persino più grave perchè, passi scambiare un DC9 dell’Itavia per un MIG libico, ma confondersi con un Boeing 777, ce ne vuole.

3. Su quell’aereo c’era qualcuno che non doveva esserci. E non si doveva sapere che c’era. E un servizio di intelligence, o più d’uno, voleva cavarselo dalle palle. Se non si sa che era lì, non si sa nemmeno che è stato ammazzato, con buona pace di tutti. Amici e nemici. Dite che sarebbe una pratica crudele? S’è visto di peggio.

L’unica cosa che non mi ha stupito affatto, è stata la faiclità con cui son riusciti a salire a bordo i due che viaggiavano con dei passaporti rubati. Il tempo medio dedicato all’osservazione di un documento in un aeroporto, eccezion fatta per quelli americani (che avendo già dato sono piuttosto ossessi) è pari al tempo di transito di una stella cadente. Potreste girare con i dati di Britney Spears e la vostra foto, e l’addetta al check-in, una precaria pagata un cazzo e pure a ore, gli dedicherà la stessa attenzione che potrebbe offrire ad una merda di piccione schiantata sul vetro.

Al controllo passaporti, un po’ più in là, vi faranno levare gli stivali, buttare una bottiglietta d’acqua ancora sigillata che vi siete pure offerti di bere e davanti a loro, smontare il pc, svestirvi per metà (tutto questo mentre state reggendo il tablet coi denti) ma il tempo dedicato al controllo del documento di viaggio passaporto sarà comunque nullo.

 


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