Quando ho deciso di provare ad avere un figlio, la mia condizione di ex malata di cancro ha avuto comunque la sua voce in capitolo. Avere un figlio, oggi come oggi, è una decisione che coinvolge il partner (ma nemmeno necessariamente) e il proprio datore di lavoro. Nel mio caso ha coinvolto Maschio Alfa, il mio datore di lavoro (che, essendo una pessima segretaria non ho avvisato prima ancora di iniziare a provare e infatti mi ha silurato), l’ematologa e la ginecologa. Non è stata una decisione che ho preso a cuor leggero. Il fatto che siano passati 8 anni dal linfoma non significa che il mio corpo sia tornato quello che era prima di quel maledetto 2005, o che io mi fidi completamente di lui. Ho dovuto imparare a dargli fiducia (e ho fatto bene), che è diverso.
Durante una delle mie ultime visite in gravidanza, la ginecologa mi fece i complimenti perché pensava che i miei trascorsi sanitari mi avrebbero resa molto più ansiosa, invece sono sempre stata molto lucida e tranquilla, anche nei limiti di 20 settimane inchiodata al letto. In effetti, aveva ragione. Le altre colleghe di panza che ho avuto le avrei, per la maggior parte, prese a sberle. Sono un po’ razzista davanti a certe cose che mi capita di sentire. Se chiami la ginecologa in piena crisi isterica perché ti sei accorta di aver dormito sul lato destro e temi che questo possa aver ucciso il tuo bambino, io prima – tanto per farti riprendere – ti darei due sberle e poi farei come si fa con i bambini. “Allora, fermati e usa il cervello…perché hai detto una stronzata? Riflettiamoci assieme e vediamo se ci arrivi…”. Se poi la ginecologa ti ha detto di non lavarti in acqua troppo calda e tu, nel dubbio, ti fai la doccia con acqua rigorosamente fredda, io medico prima ti sottopongo un manuale di semantica, poi mi riservo il diritto di non curarti una volta che t’è venuta la bronchite perché non te lo meriti. Ve l’ho detto che sono intellettualmente razzista.
Oltre a questo difettuccio, però, sono una persona che si pone anche delle domande su se stessa. Se io non mi fossi ammalata, e se quindi non avessi conosciuto la malattia, quella vera, quella che toglie il fiato, sarei stata così serena durante la gravidanza? Non lo so. Sicuramente la malattia mi ha insegnato due cose.
La prima è ragionare lucidamente nei momenti di allarme. Se una paranoia mi lampeggia nel cervello o se un dubbio mi disturba il sonno, tendo a rifletterci sopra lucidamente. Nove volte su dieci mi rispondo da sola e quindi mi rendo conto che avevo pensato una cretinata. E’ capitato anche in gravidanza. Se poi il dubbio permane, chiamo chi ne sa più di me. E’per questo che quando dico una cosa ad un medico che mi conosce bene, questo tende a prendermi sul serio. Ed è perché il mondo è pieno di ipocondriaci ed ansiosi cronici che i medici che non mi conoscono non mi ascoltano nemmeno. Vedi la ginecologa del pronto soccorso che quando le dissi che avevo avuto una rottura alta del sacco mi rispose che secondo lei mi ero solo fatta la pipì sotto. E’il motivo per cui le famose pazze che confondono malattia e gravidanza hanno sempre ginecologhe che, guarda caso, non rispondono mai al telefono. In questo il fatto di essermi ammalata aiuta. Mi evito le ansie che non hanno motivo di essere. E in un certo senso avrei preferito farmele venire, visto che le mie angosce hanno avuto, ed hanno, tutt’altro tenore: il ginecologo ha detto che il tipo di distacchi della placenta che ho avuto sono tipici delle donne autoimmuni, se effettivamente lo sono (e questo dubbio lo abbiamo da anni) cos’altro può fare il mio corpo contro la bambina? La gravidanza può “riattivare” in qualche modo il timoma? Se effettivamente ho la sindrome di Sjogren, cosa accadrà quando trasmetterò i miei anticorpi alla bambina? Claudia è nata con una fossetta sacrale, il segno visibile di una spina bifida che grazie al cielo si è arrestata. Se io non mi fossi ammalata l’avrebbe avuta comunque? Prima di fare i controlli del caso io ho perso il sonno per tre notti, nella paura che avesse una spina bifida occulta che per fortuna non c’è. Ho forse azzardato troppo decidendo di avere un figlio? Ho forse preteso troppo da un corpo bacato cui ho chiesto di lanciarsi in un’impresa titanica come la creazione di una nuova persona? Quella fossetta deve essere un monito per me? Un modo per dirmi che ho già azzardato troppo e che non è il caso di sfidare nuovamente la sorte perché non me lo posso permettere? Alla nascita, mia figlia ha vinto un’eco ai reni per via di un piccolissimo ciccetto accanto all’orecchio sinistro. Una piccola pallina come ne ho viste proprio in quel punto su decine di persone. Pare che in pochissimi casi quel cosetto si accompagni a disturbi ai reni. Sono queste le paranoie che vengono a me. Ecco perché non frequento nessuna delle mamme del corso preparto. Perché quando sentivo le loro ansie le paragonavo alle mie (con le quali convivevo molto meglio di loro) mi veniva di prenderle a testate sui denti. Razionalmente, io non ho mai realmente pensato che quella pallina accanto all’orecchio le potesse aver provocato problemi. Non ho mai seriamente nemmeno valutato l’ipotesi che potesse avere la spina bifida occulta, tanto più che la fistolina era perfettamente chiusa già alla nascita. E poi, via, sono pur sempre la madre di questa bambina, un minimo di istinto ce l’ho dall’inizio. Ho anche tanta incompetenza, sia chiaro, ma l’istinto non mi difetta. E poi, insomma, basta guardarla, la streghetta, per capire che il ritratto della salute. Ciò non di meno…ciò non di meno me lo chiedo spesso se effettivamente io non abbia avuto i miei segni da leggere e da prendere in considerazione per il futuro.
A proposito di istinto, un’altra cosa che la malattia mi ha insegnato è proprio questa: ho imparato a fidarmi del mio istinto, tanto più che non è istinto in senso stretto. E’ solo che ho dovuto imparare ad ascoltare il mio corpo, perché parla. Parla tantissimo ed ascoltarlo è bello. Mentre le altre colleghe di panza si domandavano se fosse normale che, ad agosto, con 44°in fila per sei col resto di due, si sentissero così fiacche, io il problema non me lo ponevo proprio. Non ho mai vissuto come “stranezze” o fonti di preoccupazione la stanchezza, o le piccole fitte in basso a destra o cose di questo tipo. Ero consapevole che il mio corpo (che forse io conosco meglio di come generalmente si conosca il proprio corpo) stava lanciandosi in un’impresa enorme, impressionante, esorbitante, e quindi se capitavano cose strane era più che normale. Se sanguinavo dal naso ogni mattina era naturale, non pensavo di avere un tumore (e pure qui, al corso preparto, son stata lì lì per alzarmi e andarmene, piuttosto che sentire certe stronzate). E al di là di questa consapevolezza c’era un fatto che per me era una garanzia: non avevo la sensazione di qualcosa di sbagliato. Lo so com’è quando il tuo corpo urla ma non riesce a far vibrare le corde vocali per urlare.
E’per questo che le ansie delle primipare e delle puerpere me le sono in gran parte risparmiate. Perché ho imparato tanto ad ascoltarmi e ho imparato che bisogna essere lucidi. L’ho imparato sulla mia pelle, sia chiaro, non l’ho imparato perché sono la più figa del bigonzo. Ma quindi, pensandoci bene, è stata la malattia che mi ha reso meno ansiosa in situazioni come la gravidanza e le primissime fasi della maternità, quando pare che tutte si torturino di preoccupazioni? Secondo me sì. E se invece la questione fosse diversa? Se non fossi io troppo easy ma veramente, disperatamente, ossessivamente troppo ansiose la maggior parte delle primipare e delle neomamme?
Ecco, ho la mia risposta: io ho imparato ad ascoltare il mio corpo e lo conosco molto, molto bene. Credo nell’istintività nelle cose della vita. Ci credo fermamente. Ma quello che ho notato è che si è persa questa istintività che io ho ritrovato solo per puro bisogno di sopravvivere. Il punto non è che io sono meno ansiosa perché ho conosciuto zio Hodgkin. O meglio, è solo in parte così. Il grosso del discorso forse è un altro: si è persa l’abitudine di ascoltarsi.
E se ascoltassimo tutti un po’ meno le cretinate della politica, i pettegolezzi delle tizie accanto a noi sul treno, la musica di scarsa qualità alla radio, le grida di un capo che sembra abusare di sostanze psicotrope e il rumore del traffico per ascoltarci tutti un po’ di più e parlare con il nostro corpo che, spesso, intrattiene esasperanti conversazioni a senso unico che diventano monologhi?