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Mamme alla guerra

Creato il 13 novembre 2010 da Silvanascricci @silvanascricci

Mamme alla guerra

Una famiglia classica bolognese.

Madre, padre, figlio (o figli).

Tipologia delle mamme?

Generalizziamo.

Lucide, presenti, puntigliose, affettuose ma anche ansiose, avvolgenti, nervose, angosciate, un po’ pesanti.

Tipologie dei babbi?

Generalizziamo.

Serafici, distratti, un po’ scocciati, incazzosi, un po’ a rimorchio (quasi sempre).

A rimorchio nell’andare a far la spesa, nell’andare a parlare con i professori, nell’aggiustare una porta che non si chiude, nel comperare la lampadina che si è bruciata, nell’aspettare i figli alle due di notte fuori da una disco.

A rimorchio.

Cosa da donne e cose da uomini.

Alla sera nelle case bolognesi con figli, infuria la battaglia.

Il babbo torna a casa, si infila l’elmetto, la tuta mimetica e va a tavola. La mamma è già in trincea da tempo, artiglieria leggera, mitragliatrice spianata.

C’è la discussione.

Figli mogi e a testa bassa, mugugnanti frasi incomprensibili, scuse arrampicate sui muri come gechi disperati.

La mamma ha già iniziato a bombardare dalle sei con la sua trivella, ma lì alza i volumi e straccia una paternale che invece è una maternale e le maternali sono diverse, più aspre, più pesanti, più squillanti, più nevropatiche.

Il babbo osserva, ha l’occhio a mezz’asta che si muove qua e là sul tavolo, ascolta e non ascolta, afferra un pezzetto di pane, o una scheggia di grana.

Sembra solidale nel subire la maternale, quasi fosse diretta anche a lui; o forse non gliene frega tantissimo, ma questo sarebbe verificabile solo con un siero della verità e bisognerebbe prima tramortirlo il che è, sinceramente, un po’ macchinoso.

E’ qui, in questa zona di mezzo fra la blaterante madre e il compassato padre che si inserisce una frase che è il succo della discussione, una frase su cui si basa e si sgretola un matrimonio di anni, una prima crepuzza che mina le fondamenta del palazzo.

E’ una frase pronunciata dalla mamma, a un certo punto a chiusura di una tirata; una frase rivolta al marito.

In tono anche piuttosto secco: “dai…dì qualcosa anche tu, però!”.

A quel punto gli occhi del babbone si sbarrano con un leggero movimento in avanti della testa: di stupore, forse quasi di terrore.

Un po’ come quando in classe la professoressa, dopo aver scorso il registro con il dito, pronunciava secco il tuo cognome.

Vengono interrogati, ebbene sì, la stessa sensazione; e lì quasi sempre c’è un vuoto.

Forse non ha studiato abbastanza, non so.

“cosa vuoi che dica… ha ragione la mamma”.

Lei non è preparato signor babbo. Non ha studiato. Quattro! Il voto è quattro! E al posto.

Alla domanda “dì qualcosa anche tu” crollano.

Anche perchè se il babbo risponde: “sì, stai dicendo minchiate inenarrabili, hanno ragione loro” si è già dall’avvocato; e se dice che la mamma ha ragione… uguale, stessa cosa perchè l’ha detto male.

Il fallimento del tentativo di complicità in quelle discussioni lo si registra il giorno dopo all’uscita delle scuole, dove le mamme, nel loro quartier generale preferito, commentano e passando, si sente la frase: “e lui, lui, lui… ah lui non dice niente, sta lì come un cretino…”.

Da qual punto in avanti si aprirà un solco nella coppia.

Nelle discussioni successive la mamma dirà ai figli: “chiedilo a tuo padre” e viceversa il babbo dirà per esempio: “cinque euri? fateli mo’ dare da tua madre”.

Si parla già di un ectoplasma esterno, non di un coniuge.

Sono segnali inequivocabili riguardo ai quali tutti gli avvocati bolognesi possono certificare, carte alla mano, come va a finire.

La scena successiva, quella finale (ma forse anche quella iniziale, dipende) vede un uomo e una donna attendere i rispettivi due figli all’uscita della Capannina alle 2 di notte: “lei è al secondo giro”; “sì e lei?”; “anch’io”.

Di qui la corsa (come agli autoscontri) può ricominciare.

Buona fortuna, vecchi ragazzi.



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