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Manchester United, La leggenda dei Busby Babes 6 Febbraio 1958 - 6 Febbraio 2015
Creato il 06 febbraio 2015 da Stefano Pagnozzi @StefPag82Manchester United, La leggenda dei Busby Babes 6 Febbraio 1958 - 6 Febbraio 2015 tratto da: Anglocalcio - Quelli che il calcio inglese
Monaco di Baviera, 6 febbraio 1958, ore 16,04. Era ancora aperta la ferita di Superga, la tragedia aerea che aveva cancellato in un sol colpo il grande Torino di Loik, di Gambetto, di capitan Valentino Mazzola. Il Manchester United rientrava da Belgrado dove, con un soddisfacente 3-3 con la Stella Rossa aveva conquistato il diritto a giocare la semifinale di Coppa dei campioni.
Il bimotore della British European Airways ritenta, dopo due volte andate a vuoto, il decollo. La pista è coperta di neve, e di neve ne continua a cadere tanta. Ma James Thain, ex pilota della Raf nella seconda guerra mondiale, non si dette per vinto e partì per la terza, ultima e fatale volta.
L'aereo sembrò, sulle prime, essere in grado di alzarsi, ma dopo qualche centinaio di metri perse potenza, diventò ingestibile, ed andò ad impattare contro una casa.
L'ala e la coda cedettero nell’impatto, e quello che rimaneva del velivolo finì prima un albero e poi un piccolo deposito in legno che conteneva un camion con del carburante, ne scaturì un gigantesco incendio. Nel candore bianco, Un’esplosione pazzesca.
Quell’aereo va in mille pezzi e con esso gran parte dei leggendari Busby Babes. i figliocci leggendari di sir Matt Busby, lo «scozzese di ferro» che dal 1946 al ’69 avrebbe fatto dello United la sua missione.
Erano le 16:04 di giovedi 6 Febbraio 1958, tra la carcassa di quello che ormai non si riconosceva quasi più come un aeroplano giacevano i corpi dei giocatori, tecnici e dirigenti del Manchester Utd.
23 vittime. Nomi da ricordare e da imparare a memoria, perché senza di loro oggi non esisterebbe il grande Manchester United che conosciamo.
Gli uomini di fiducia del duro dal cuore tenero Busby: Bert Whalley, ex giocatore dello United, e poi diventato coach, affiancando Sir Matt negli allenamenti e recapitandogli settimanalmente lettere con su scritti i giudizi tecnici su ad ogni singolo calciatore. Destino volle che Whalley, che ormai aveva deciso di ritirarsi, venne portato lo stesso a Belgrado come premio alla carriera.
E Tom Curry, 24 anni di Manchester, chiamato nel ’34 dall’allenatore di allora Scott Duncan, e che trovò Busby alla ripresa dei campionati dopo la guerra. Era colui che aveva il compito di badare alla «crescita spirituale» dei Babes e molti di loro lo seguivano alla Messa nella chiesa cattolica prima di ogni match.
Si Salvò solo Jimmy Murphy, l’allenatore delle giovanili, l’addetto allo sviluppo di quello che sarebbe diventato il miglior settore giovanile del calcio britannico, ma solo perché la fortuna volle che quel maledetto 6 febbraio fosse impegnato come come visionatore per conto della nazionale.
Ed i calciatori, a cominciare dal capitano, il “vecchio” Roger Byrne (28 anni), che quel 6 febbraio se ne andò senza sapere che aspettava un figlio da sua moglie Joy..«Spero di ritrovare il Real Madrid in semifinale...» scriveva sul Manchester Evening poco prima di partire..
Geoff Bent (25 anni), un Bergkamp d’altri tempi, allergico ai viaggi aerei. Busby le provò tutte per portarlo, e alla fine ci riusci, e Bent partì per la sua ultima trasferta.
Tommy Taylor (26 anni) stava progettando il matrimonio con la sua fidanzata e poco prima di partire al telefono gli disse: «Prepara una bella birra che sto arrivando amore...».
Liam Whelan (22 anni) morì con la fede più profonda dell’irlandese cattolico e prima dello schianto
c’è chi giura di averlo sentito urlare: «Dio sono pronto...». A Dublino per i suoi funerali si presentarono in 20mila.
Mark Jones (24 anni) lasciò a casa ad aspettarlo invano una giovane moglie e un bambino piccolo.
Un’assenza che spaccò il cuore dell’amato Rick, un labrador nero che si lasciò morire qualche giorno dopo la fine prematura del suo padrone.
Eddie Colman (21 anni) il piu giovane del gruppo, il mancino di Salford, cresciuto a pane e United fin da quando era bambino, ala sinistra dal futuro radioso, se futuro avesse potuto avere..
David Pegg (22 anni) scorza dura del Yorkshire, cosi giovane e gia 7 anni di Manchester ed un cap con la nazionale dei 3 leoni
E poi la gemma più preziosa, la piu grande speranza d’Inghilterra, Duncan Edwards, “the Tank”.
Volò via per sempre anche lui, a 21 anni. Poco prima della manovra di decollo trovò il tempo di spedire un telegramma alla sua padrona di casa per avvertirla che per problemi atmosferici avrebbe trascorso la notte in Germania.
Il telegramma arrivò a destinazione alle 17 di quel pomeriggio, quando a Monaco Edwards su un
letto dell’ospedale, affrontava la sua sfida più importante, quella contro la morte. I suoi polmoni d’acciaio capaci di reggere anche quattro partite alla settimana non volevano mollare.
Con le costole frantumate, un polmone perforato e la gamba destra spezzata, Duncan sibilò al dottore: «Quante chance ho di poter giocare in Premier la settimana prossima?».
La sua fidanzata Molly gli tenne forte la mano e rimase così, a vegliarlo, fino alla notte del venerdì 21 febbraio quando quella stella di Old Trafford si spense per sempre. Fu una seconda morte per il
Manchester. La cittadina di Dudley, nel Midlyne dove Edwards era nato, si strinse tutta intorno a quel figlio adorato al quale gli dedicò una statua e sulle vetrate della chiesa di St Francis è stato dipinto il suo ritratto con la maglia del Manchester e dell'Inghilterra.
Un’Inghilterra che per anni si è chiesta se con questi calciatori in campo la nazionale dei Tre Leoni non avrebbe conquistato anche i Mondiali del ’58 e del ’62, compiendo il tris iridato con quella Coppa alzata al cielo di Londra nel ’66 da sir Bobby Charlton, «il sopravvissuto di Monaco».
Fu lui, il bomber dello United insieme a Dennis Law e al Pelè bianco George Best, a mantenere in vita il mito vincente dei Babes, ma soprattutto a riuscire nell’impresa di regalare di nuovo un sorriso a Sir Matt, portando il Manchester United alla conquista della Coppa dei campioni proprio nel decennale della sciagura di Monaco.
Lui non ha mai smesso un giorno di pensare a quei suoi ragazzi che fino all’ultimo minuto delle loro esistenze amava salutare con un paterno: «hello son», ciao figliolo. Busby ha sempre saputo che quel gruppo straordinario e il loro sogno sarebbe durato in eterno.
E allora l’ultimo atto di questa lunga storia dei Babes forse è stato scritto a Barcellona in una notte
magica del 1999. Finale di Coppa di Campioni Manchester-Bayern, la squadra di Monaco. Lo United al 90’ è sotto di un gol, ma nei minuti supplementari sigla la più clamorosa delle vittorie, 2-1. Era la notte del 26 maggio, il giorno del compleanno di sir Busby che se ne era andato cinque anni prima. Ma quella notte a Barcellona, i tifosi del Manchester giurano che Busby e i suoi Babes erano lì con loro, erano tornati giusto il tempo per portare ancora una volta lo United sul tetto d’Europa, perché il sogno di Old Trafford non abbia mai fine.
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