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Vi è mai capitato di ordinare ostriche al ristorante e trovare dentro una di esse una perla? Questa è la sensazione esatta che abbiamo provato noi assistendo alla proiezione di Mancia competente, pessima traduzione (al solito) del ben più incisivo titolo inglese Trouble in paradise. Si tratta del 53° film di Ernst Lubitsch (Anna Bolena, L'allegro tenente, Montecarlo, Il principe consorte) maestro tedesco, trasferitosi negli USA, della commedia brillante.
La trama racconta di Gaston Monescu (Herbert Marshall, visto in Venere Bionda di Von Sternberg) ladro e truffatore che passa la vita depredando i facoltosi ospiti di alberghi di lusso. Gaston, nel corso di una delle sue avventure, si imbatte in Lily (Miriam Hopkins, L'allegro tenente già con Lubitsch), giovane ed avvenente truffatrice. I due immediatamente riconoscono l'anima gemella l'uno nell'altra e iniziano una vita girovaga passando da un colpo all'altro. A Parigi i due decidono di derubare una ricca ereditiera, Madame Colet (una seducente Kay Francis, Peccato virtuoso, La donna e la femmina, Amanti senza domani). Il piano, diabolicamente semplice, prevede che Gaston guadagni la fiducia di Mme Colet lavorando come suo assistente personale fino a convicerla a trasferire una grossa somma di denaro in casa dove potrà essere rubato senza difficoltà da Gaston e Lily. La faccenda si rivelerà più complicata del previsto perchè il nuovo segretario di Mme Colet alimenterà al tempo stesso la gelosia dei numerosi pretendenti della bella milionaria e quella di Lily.
Gaston, innamoratosi della bella datrice di lavoro, si troverà quindi a dover scegliere non solo fra le due donne ma fra due stili di vita antitetici, e non vi faremo il torto di rivelare la sua scelta!
Per una volta, con nostra grande soddisfazione, possiamo soffermarci sui costumi: meravigliosi quelli femminili ma di grande eleganza e sobrietà anche quelli maschili. Travis Banton (Se io fossi re, Montecarlo, Il dr. Jekyll, Shangai express, solo per citarne alcuni), di cui prossimamante riparleremo su questo blog, si conferma il miglior costumista di Hollywood drappeggiando elegantissimi abiti, sia da giorno che da sera (i nostri preferiti, sia quello bianco nella scena a teatro, che quello nero indossato nel finale) utilizzando con maestria la seta e come motivo ricorrente irresistibili dettagli in pelliccia.
Degni di nota anche i costumi maschili, dalle classiche marsine indossate dai personaggi più tradizionalisti agli impeccabili completi di Gaston. Una cura particolare si apprezza nella scelta delle cravatte: magistrali gli accostamenti del pur arcigno manager Adolphe Giron, bello il papillon a pois indossato sul tight dal sempliciotto Mr Filiba.
Altrettanto curate le scenografie, semplici ma efficaci, che rendono perfettamente l'idea del lusso decadente degli alberghi veneziani, nelle sequenze iniziali, e del razionalismo minimal ma lussuoso della casa di Mme Colet.
Lubitsch tratteggia in modo impareggiabile un empireo di ricchezza e glamour nel quale i personaggi, solo apparentemente egoisti, lottano strenuamente per la conquista dell'amore. Spiccano (una volta tanto!) i personaggi femminili: emancipati, indipendenti e - anche quando poveri - privi della minima volgarità.
L'atmosfera è intrisa di un erotismo ben più che accennato, ma la rinuncia all'esibizionismo rafforza il senso di eleganza che caratterizza tutta la pellicola.
Nel gioco delle parti non si può che ingannare o essere ingannati, eppure non si sfugge al proprio destino: a qualcuno dei personaggi rimarrà solo la tistezza di una sconfitta ed il rimpianto di come avrebbe potuto essere bella la vita (it could be sweet, come dolorosamente cantano i Portishead) se solo il mondo non fosse fatto come è fatto.
Brillanti i dialoghi con alcuni scambi di battute che resteranno memorabili, fra i quali non possiamo non citare quello in cui siamo certi molte lettrici si riconosceranno:
Commesso: "Questa borsa Mme Colet costa solo 3.000 Franchi"
Mme Colet: "Oh no, è decisamente troppo! Questa qui invece?"
Commesso: "Questa qui, Madame, costa 125.000 più cento Franchi!"
Mme Colet: "Ma è bellissima...la prendo!"
Come i più accorti fra i nostri lettori avranno già notato, questo film è piuttosto datato. Per la precisione è stato girato nel 1935. Eppure la domanda sorge dolorosamente spontanea: in quale film girato negli ultimi venti anni abbiamo il piacere di ammirare personaggi femminili di grande bellezza che non siano solo corpi da desiderare, in cui le donne siano capaci di realizzarsi da sole, arbitre del proprio destino senza per questo disprezzare il genere maschile? In quale pellicola di questi tempi tanto liberati e disinibiti quanto problematici il protagonista è in grado di sedurre con maestria una donna discettando del make up più adatto ad esaltare la di lei bellezza? In quale opera, ancora, l'eleganza maschile di abiti dal taglio accurato e delle cravatte scelte con sapienza non viene additata come simbolo della ricchezza che prevarica o di vuota formalità?
Forse l'amore per il vintage ci acceca, ma vedendo oggi questa commedia leggera e maliziosa, ci si rammarica che non si producano più pellicole così attente a quegli elementi come l'eleganza, lo stile, la cortesia che a nostro avviso hanno una platea assai più vasta di quanto alcuni soloni del marketing paiono pensare!
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