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Manet e la nascita della modernità

Creato il 09 maggio 2013 da Artesplorando @artesplorando

Manet e la nascita della modernità

Edouard Manet, Dejeuner sur l'herbe

Nato a Parigi nel 1832 da una famiglia agiata, Edouard Manet intraprende gli studi classici, durante i quali già nutre una forte passione per il disegno. In seguito è costretto però a scegliere la carriera di ufficiale di marina, pur di sfuggire a quella giuridica impostagli dalla volontà paterna. Respinto agli esami di ufficiale, al ritorno da un viaggio in nave a Rio de Janeiro, Edouard riesce a convincere il padre a lasciargli coltivare l’inclinazione artistica. Così nel 1850 comincia a frequentare l’atelier del pittore accademico Thomas Couture, dove rimarrà fino a quando, nel 1856, entrerà in conflitto con il maestro. La definitiva rottura tra i due avverrà nel 1858, a causa dei giudizi negativi di Couture sul Bevitore d’assenzio di Manet. In questi anni si compie, in realtà, la vera educazione artistica del pittore che, convinto che il rinnovamento della pittura debba partire dalla conoscenza della tradizione, nel 1853 si reca in Italia per studiare soprattutto i capolavori di Firenze, e nel 1856 viaggia per l’Olanda, l’Austria e la Germania.

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Edouard Manet, Olympia

Nel primo soggiorno in Italia del 1853, poi nel secondo del 1873 Édouard fu a Venezia, a Firenze e forse a Roma: vide molte opere, alcune le copiò in tele a olio e fece molti disegni da Andrea del Sarto, Benozzo Gozzoli, Luca della Robbia, Fra Bartolomeo, Ghirlandaio, Parmigianino e Tiziano. Queste opere lasciarono un segno indelebile nella sua memoria. Quando dipinse "Déjeuner sur l'herbe", unanimemente considerato il primo dipinto della modernità, ha negli occhi "La Pesca" e "La Caccia" di Annibale Carracci che erano al Louvre come il "Concerto campestre" di Tiziano. In questa tela ci sono due donne nude, una in piedi versa acqua da una caraffa nella vera di un pozzo, mentre l'altra seduta ha in mano un flauto, al centro due uomini accosciati vestiti di tutto punto, uno con cappello tocca il liuto e guarda l'altro. Il "Déjeuner" fu rifiutato al Salon ed esposto in quello dei Refusés: Antonin Proust, amico di Édouard, ricorda che, dopo una gita ad Argenteuil, dove Manet ha visto delle donne bagnarsi e uscire dall'acqua, tornato nell'atelier espresse l'intenzione di dipingere una scena come un Giorgione moderno, ispirato cioè al "Concerto campestre" che a quel tempo veniva attribuito al maestro di Castelfranco. Lo scandalo suscitato dal "Déjeuner" non è la donna nuda, tema canonico di tutto il Rinascimento, ma l'imperdonabile associazione con due uomini vestiti. Un modo come un altro di mettere alla berlina, ma con ironia, i costumi compassati e conformisti della società del tempo.

Manet e la nascita della modernità

Edouard Manet, ritratto di Emile Zola

Il 1863 fu annus mirabilis perché, come Minerva dalla testa di Giove, nasce l'"Olimpya". La fonte prima e inequivocabile è "La Venere di Urbino" di Tiziano, Manet l'ha copiata nel suo giovanile soggiorno a Firenze del '53 e non se ne è dimenticato: la disposizione delle due figure è del tutto simile, ma la cortigiana del Vecellio è morbida, tornita come una statua antica e bagnata da una luce dorata, ha uno sguardo sereno, con una mano copre il sesso senza celare del tutto l'inguine. L'architettura è definita da una loggia con colonna e da una porta vetrata vista di scorcio: sul fondo dell'interno una donna inginocchiata rovista in un cassettone, un'altra la guarda avendo sulle spalle una pelliccia. Ai piedi della Venere c'è un cagnolino che dorme, simbolo di serenità e di fedeltà coniugale. Manet rispetta la disposizione diagonale del corpo disteso: la donna ha un viso tondo dal mento aguzzo, uno sguardo sfrontato, e una mano copre il sesso con energia, quasi a voler far intendere - a chi la guarda - che quel gioiello non lo si svela facilmente. Mentre la luce nella "Venere" è una fonte diffusa e discreta, quasi dorata, quella che batte su Olimpya è una luce «molto violenta che la colpisce in pieno», come disse Michel Foucault. Olimpya non è una cortigiana, ma una prostituta illuminata da una luce fredda, che espone le sue grazie senza alcuna inibizione, ma con piena consapevolezza di sé. La negra, che porta alla padrona un fascio di fiori, è soprattutto una macchia di colore, come capì Zola: «Ti serviva del nero e hai fatto la serva e il gatto», il nero esalta la veste bianca, la carta bianca in cui è avvolto il bouquet, e l'avorio della pelle di Victorine Meurent, modella privilegiata da Manet. Ritagliata sulla tela come si vide in talune stampe giapponesi. La dormeuse su cui è distesa è di un bianco squillante, quasi un ricordo della "Paolina Borghese" di Canova, celeberrima opera che Manet potrebbe aver visto a Roma nel corso del viaggio dell'ottobre del 1853. Ma anche se non fu a Roma e non vide l'originale, il pittore può aver visto le incisioni assai diffuse o delle foto. Nessuno ha fatto mai riferimento al marmo con la sorella dell'imperatore che ha una disposizione simile, anche se il corpo è più rigido, il capo girato, e non guarda frontalmente lo spettatore come Olimpya. Ma Paolina è una Venere vincitrice, l'altra solo una puttana che annuncia la belle époque. Ai piedi di Victorine c'è un gatto nero che inarca la gobba, felino assai caro al pittore, a Baudelaire e a Champfleury di "Les Chats". L'iconografia dell'opera di Manet è filtrata, oltre che dal modello tizianesco, attraverso le "Majas" di Goya e la "Grande Odalisca" di Ingres, entrambe di seducente sensualità: ma esse non hanno certo la sfrontatezza borghese e mercenaria dell'Olimpya. L'Olimpya è quasi una nostra contemporanea, cosa che non può dirsi delle ideali sorelle.

Manet e la nascita della modernità

Edouard Manet, le balcon

Tra il 1868 e il '69 Manet dipinge "Le balcon", una tela d'insolite dimensioni (170 x 124 cm), una composizione che, per impianto e complessità, ha un carattere programmatico: è una sorta di punto a capo della sua arte in cui la civiltà artistica italiana e quella spagnola si congiungono in una stupefacente unità. La relazione proposta con "Le Majas al balcone" di Goya a me pare generica, mentre la memoria delle "Due dame al balcone" (1490 c.) di Vittore Carpaccio è assai pertinente: nonostante alcune divergenze, ben visibili nella rotazione che Manet imprime alle tre figure viste frontalmente, mentre nella tavola di Vittore le dame sono viste di profilo. La più giovane ha uno sguardo assorto e melanconico, poggia un braccio sul loggiato e in mano regge un fazzoletto, l'altra più anziana - assai rassomigliante alla giovane - gioca con un cagnetto e tiene lontano con un bastone un levriero che ringhia. Nella sua tela Manet dispone Berthe Morisot in primo piano: seduta e appoggiata con un braccio al balcone, regge in mano un ventaglio. È una donna di ventisette anni nel fulgore della sua bellezza: lo sguardo è intenso e melanconico, ha occhi e boccoli neri che incorniciano il volto e ne esaltano la candida pelle di porcellana. Berthe è, "malgré elle", l'incarnazione della "femme fatale", epiteto che aveva udito circolare al Salon, come scrisse in una lettera indispettita alla sorella Edma. Berthe è una donna che ha piena consapevolezza di sé, e si adorna degli attributi del suo status sociale. Il pendaglio d'oro che porta al collo è retto da un nastrino verde, come verdi sono le inferriate del balcone, le persiane aperte e l'ombrello che tiene in braccio la violinista Fanny Claus in piedi. La scelta cromatica è netta, la ringhiera in ferro con il disegno a X allude a un reticolo prospettico, ribadito dalle forti fasce orizzontali e verticali verdi. Entrambe indossano abiti bianchi elegantissimi. Tra le due fanciulle, in terzo piano, si staglia la silhouette di Antoine Guillimet: è vestito di nero e sullo sparato della camicia bianca spicca una sgargiante cravatta blu. Unica pennellata dissonante. Ai piedi di Berthe c'è un cagnetto: attributi psicologici e simbolici che corrispondono, mutatis mutandis, a quelli esposti nella dama giovane del Carpaccio, ma in quella tavola c'è un modulato gioco cromatico, che Manet ignora con la violenza del verde, del nero e del bianco sui quali batte una luce fredda. Sono entrambe donne inquiete quelle ritratte da Manet, assorte in una concorde melanconia. Accanto a Berthe, immersa nei suoi pensieri, appena più indietro, Fanny ha volto ovale, lo sguardo assorto e quasi triste, ha un'acconciatura sofisticata con fiori sul capo. Le tre figure s'ignorano e guardano in direzioni diverse. Berthe sposerà il fratello di Édouard, essendo rimasto irrisolto lo stretto nodo che l'aveva legata al pittore: malgrado entrambi non fossero certo dei conformisti.

Manet e la nascita della modernità

Edouard Manet, Nana Bar alle Folies-Bergere

Fino alla fine produrrà capolavori dalla struttura libera e audace, restando comunque legato alla figura e ai colori puri e naturali. Nasceranno così splendidi dipinti come Déjeuner dans l’atelier (1868), Berthe Morisot col ventaglio (1872), Ferrovia (1872-1873), NanaBar alle Folies-Bergère, ultimo quadro di vita contemporanea. Muore a Parigi il 30 aprile del 1883.

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