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Non voglio rubare il lavoro ad Armadillo Bar, università del vino e del savoir vivre ma questa volta parlo di un vino anzi di una piccola cittadina che si chiama Concordia Sagittaria, antico insediamento romano a pochi kilometri da Portogruaro. Qui ai margini della laguna a nord di Venezia ovvero nella Louisiana d’Italia pulsa una qualità della vita che per me che vengo dall’intasato nord-ovest è benessere allo stato puro. Innanzitutto le città, Portogruaro in primis ma anche Concordia sono proprio belle, pulite, ben tenute, amministrate bene e tranquille, un mix di storia passata e way of life moderna, retaggio nobile e spirito efficiente che si rispecchia nei suoi abitanti o almeno nella maggior parte di essi, affabili, socievoli, spesso colti ma non spocchiosi, curiosi, goduriosi e perfino laboriosi, cosa che va sottolineata perché certe volte goduria e labor suonano come un ossimoro. Siamo all’estremo est del Veneto ai confini del Friuli ma qui la Lega non è padrona ed il suo credo oscurantista non ha attecchito più di tanto perché qui, come si può vedere la mattina della domenica, la società è divisa in due: chi va in chiesa e chi va all’osteria. È questo il bipolarismo di Concordia, non sorprende quindi che fra quelli che frequentano l’osteria ci siano anche degli eretici che hanno coniugato l’ombra de vin coi suoni del rock n’ roll, veterani inossidabili che ho incontrato nei lontani giorni del Mucchio Selvaggio ovvero metà anni ’80 e poi sono diventato amico tanto che l’amicizia oltre a durare nel tempio si è allargata a macchia d’olio ed ormai conosco più gente lì che nel luogo dove abito. In questa landa di concordia, di vino e di prelibatezze gastronomiche, in primis le eccelse ed inarrivabili sarde in saor, ad una cinquantina di km da Udine ovvero dal luogo dove il bulletto dell’Indiana si è rifiutato di suonare perché non consono alle sue esigenze di star (ed erano in tanti ad aspettarlo ora delusi ed indignati) c’è un locale (un pub?, una pizzeria? Un ristornate? Un bar?) dove grazie alla passione di uno che si chiama Walter Fiorin e ha l’unico difetto di essere juventino il rock ha trovato un posto di ristoro adeguato. Il locale si chiama Sacco&Vanzetti River Cafè e basterebbe il nome per capire di cosa si tratta se non ci fossero poi le tovagliette di carta zeppe di aneddoti cinematografici, letterari e musicali ma se ci andate a mangiare e bere capirete cose della vita che prima solo immaginavate e magari vi sentirete raccontare che tra quelle mura di pub un po’ irlandese e un po’ di osteria veneta oltre al soul food da laguna del cuoco Gigi, presidente della confraternita dell’aringa, hanno suonato tra gli altri i Cheap Wine, gli Wind in versione acustica, Graziano Romani, Luigi Majeron, Angelo “Leadbelly” Rossi e nel futuro approderanno i Red Wine Serenaders e magari anche Bruce che nella parete vicino al bancone è immortalato in una foto col paròn Walter.
A Concordia Sagittaria ogni prima settimana di agosto va in onda la festa di S.Stefano, una di quelle feste che si vedono solo al sud tanta gente c’è e tante luci ci sono ma per fortuna lì il tasso laico ed eno-gastronomico è di gran lunga superiore al delirio religioso delle processioni meridionali. C’è la fiera come si conviene ad una festa di origine contadina coi trattori in esposizione, tante stufe a legna in vendita, le pulitrici per casa e i tagliaerba, il miele e i prodotti naturali, le creme per dimagrire/snellire/ringiovanire/tonificare, proprio come in un medicine show del vecchio west e poi una lunga fila di posti ristoro dove si può mangiare di tutto, dal fritto misto alla trippa, dai bratwurstel della Turingia alla soppressa, dalle costine alla polenta, dalle seppioline al baccalà. Insomma una babele della gola che termina con la consueta sparata di fuochi d’artificio nell’ultima serata di festa, a cui fa seguito una sbronza di massa per quanto riguarda i giovani ed un piccolo privè al lato della piazza dove un tale Loris Mussin presenta il suo vino biodinamico e medicinale per il corpo( a detta dello stesso quando l’influenza invernale assale basta bersene una bottiglia e coricarsi ed il mattino dopo sarà un’altra storia, di assoluto benessere) chiamato Mangiafuoco. E’ un vino Merlot che Mussin definisce garage wine perché fatto rigorosamente e spartanamente in casa, prodotto in quantità limitata con tutti i crismi della sostenibilità eco-ambientale, non in vendita e bevuto ad agosto alla festa di S.Stefano dopo essere stato in barrique per un anno e aver assorbito i sapori della cantina o meglio del garage. E’ un rosso superbo, rotondo, di profumi ancestrali, profondo e avvolgente, ricorda il Tignanello ma ha un carattere tipicamente nord-est, sa di bora e di quella terra che lambisce il mare ma si mischia con le acque dolci, gli acquitrini, le paludi salmastre, la campagna e la Brussa. E’ il primo grande rosso blues d’Italia, un vino che si accompagna a carni e pesci grassi come le sarde, l’anguilla, lo sgombro ed esige il sottofondo di un Bob Seger d’annata, preferibilmente Night Moves, di un John Lee Hooker, del John Hiatt di Bring The Family, del Warren Haynes di Man In Motion, del DeVille di Miracle e di Shine di Joni Mitchell.
Gran posto l’Italia, nonostante tutto.
MAURO ZAMBELLINI
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