Ho digitato il titolo del libro che voglio recensire su Google. Mani calde. E per prima cosa ho letto di una scoperta scientifica. Per gli scienziati avere mani calde vuol dire possedere un cuore caldo. Nel 2008 un gruppo di psicologi americani dell’Università di Yale ha condotto una serie di test per studiare l’importanza della temperatura esterna del corpo umano. Da questi studi è emerso che l’effetto della temperatura fisica non condiziona soltanto il modo in cui vediamo gli altri, ma anche il nostro comportamento. Il calore fisico ci predispone ad essere più ottimisti nei confronti degli altri e ci rende più generosi verso il prossimo.
E il romanzo che ho tra le mani?
Non se ne parla?
Cosa c’entra con la medicina?
Mani calde. Eccolo. Il primo libro di Giovanna Zucca, scrittrice esordiente con una laurea in filosofia oltre che infermiera strumentista e aiuto anestesista. Partita da una scoperta medica, sicuramente coadiuvata dalla propria sensibilità lavorativa, Giovanna Zucca ha costruito un romanzo corale in cui molteplici personaggi riescono a relazionarsi grazie ai propri pensieri, interiori ed esteriori. E la lettura è subito coinvolgente, fluisce fulminea, balzando da un pensiero alla realtà narrativa e poi subito dopo, da una descrizione di una corsia d’ospedale all’ovattato mondo dei pensieri di Davide, il piccolo protagonista.
Devo ammettere che la trama del libro inizialmente non mi aveva coinvolta. La storia di Mani calde si svolge tra le corsie di un ospedale in cui Davide, un bimbo di 9 anni, si trova in bilico tra la vita e la morte a seguito di un grave incidente stradale. Per lui sembrano non esserci speranze tranne quando il dottore Bozzi, un medico geniale quanto intrattabile, lo prende per mano ed entra dentro la sua vita. La mia iniziale reticenza era dovuta al fatto che non mi andava di leggere di sofferenze, né di essere catapultata in un ospedale, tanto meno di incontrare il dottor House fra le pagine di un libro, ma nulla di tutto questo si è verificato.
Se mi chiedessero che cosa mi ha più colpito di questo romanzo, risponderei la scrittura, fluttuante e duplice che ci presenta un personaggio a partire dalle sue parole, ne descrive i gesti, il modo di essere e di fare in pubblico per poi spogliarlo nell’intimo mostrandocene i pensieri. Mani calde ha il potere e la forza coinvolgente di farci entrare tra i pensieri più intimi dei suoi protagonisti, l’unico “luogo” in cui ognuno può essere solamente se stesso. In questo libro i pensieri fanno da eco a tutti personaggi esaltando le discordanze tra ciò che appare e ciò che realmente è. Mani calde è un libro fatto di pensieri dove la dimensione intima della scrittura serve a svelare ciò che l’apparenza nasconde. Dietro ad una trama semplice e lineare c’è un progetto di scrittura ben articolato che si dipana su più livelli narrativi, tanti quanti sono le relazioni che si possono sviluppare tra persone diverse accomunate da uno stesso luogo di lavoro, un destino comune o semplicemente da un’empatia spiegabile solo con la forza del pensiero. È così che scorrono in carrellata: Pino, Claudia, Giuliano, il dottor Mari, Maurizio, la Giuli, Lia e Stefano, loro sono l’ospedale e servono a mostrare l’aspetto burbero e severo del dottor Bozzi. Mamma Giulia dall’apparenza fragile e dai pensieri forti e papà Paolo all’opposto, pieno di incertezze, sono la famiglia e l’unica voce in grado di raccontare pubblicamente la storia del piccolo Davide. I protagonisti, Davide e Pligi, entrati in sintonia grazie al calore delle mani del dottor Bozzi e per merito della forza dei pensieri del piccolo Davide, raccontano ciò che è difficile spiegare dei rapporti tra le persone, la naturale propensione che spinge ognuno di noi ad essere realmente se stesso solamente con chi sa entrarci nel cuore.
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