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Manie di persecuzione

Creato il 07 marzo 2015 da Alby87

Alcuni vegani soffrono gravemente di manie di persecuzione. È una cosa che ho visto spesso, si sentono come se tutto il mondo ce l’avesse con loro, e se ricevono qualche critica si sentono aggrediti ed emarginati ingiustamente.

Questa è una percezione che sicuramente hanno, e in alcuni casi sicuramente è vero che c’è chi li aggredisca o discrimini ingiustamente, succede sempre ai diversi. Per esempio, una volta una visitatrice del blog parlò di alcuni amici che le nascondevano la carne nel piatto, e iniziava a dare profonde letture filosofiche sulle motivazioni socio-politiche di questo comportamento, ma non c’è bisogno di tante spiegazioni, in realtà: a me quando ero piccolo faceva schifo il formaggio stagionato, mi dava letteralmente il vomito. Curiosamente, però, non mi dava schifo in tutte le sue forme, ad esempio se fuso nella pasta al forno mi piaceva; mi dava fastidio soltanto allo stato naturale, diciamo. Ovviamente non c’era una motivazione razionale, filosofica o sociopolitica per avere questo disgusto totale per il formaggio; semplicemente qualcosa in esso mi dava, e mi dà ancora anche se in forma meno patologica, il disgusto. Ma era sicuramente una cosa a-razionale, impossibile da giustificare con un ragionamento. Non vi dico cosa mi facevano passare per questa mia fisima …  quanta gente si era messa in testa che doveva educarmi alla razionalità e farmi vedere le mie contraddizioni, e dunque mi metteva il formaggio nel cibo di nascosto oppure me lo metteva davanti di proposito o simili? Nessuna motivazione filosofica di questo, eccetto la persecuzione gratuita di una diversità. I vegani sono diversi e in quanto tali riceveranno sempre un po’ di discriminazione e cattiveria gratuita per questa ragione.

C’è dell’altro?

Sì. In realtà c’è. In realtà c’è un’antipatia diffusa per i vegani che va oltre la semplice cattiveria gratuita verso il diverso o il tentativo indesiderato e fuori luogo di “educarli” perché superino le proprie fisime; parlo di un’antipatia specifica per loro, che essi faticano a capire e avvertono come una persecuzione.

Ora io vi spiegherò le ragioni di questa “persecuzione” e perché in realtà, salvo alcuni eccessi, è abbastanza comprensibile.

Cominciamo a fare un paio di distinguo, però: un vegano è uno che non mangia carne, ma non è solo quello; si differenzia dal vegetariano perché rifiuta di nutrirsi di qualsiasi prodotto di origine animale in quanto è frutto di uno “sfruttamento dell’animale”.

Diciamo che si tratta di una scelta molto radicale, e ci sono di solito due ragioni per cui si fa una simile scelta (a meno di problemi psichiatrici seri): una a-razionale[1]; la compassione nei confronti dell’animale. L’animale mi fa compassione quindi non mi piace l’idea che muoiano animali per causa mia, e cerco di ridurre il numero di animali che muoiono. Comprensibile. E poi c’è una scelta pseudo-razionale (in realtà irrazionale), la posizione cosiddetta “etica”: il vegano che crede che sfruttare animali sia “ingiusto”.

Non mi soffermo sulle critiche a quest’ultima prospettiva, praticamente metà di questo blog è devoto proprio a demolirne le presunte ragioni oggettive. Piuttosto voglio spiegare perché essa dia tanto fastidio.

Dunque, consideriamo ovviamente che ci sono alcuni vegani che obbiettivamente sono dei fanatici scassacazzo e basta. Gente che rifiuta di frequentare persone che non siano vegane a loro volta, che quando viene a cena da te fa la sceneggiata con facce schifate ogni volta che vede la carne, gente che se gli dici che fai sperimentazione animale o che indossi guanti di coniglio inizia a guardarti storto … È abbastanza ovvio perché questo tipo di persone non le sopporti nessuno. Quello che vorrei che si capisse è perché incontrano spesso antipatia anche i vegani “pacifici”, quelli che hanno un vita sociale normale, quelli che non sentono il bisogno di mettere i cartelloni sulla propria scelta alimentare, che tranquillamente si fanno le loro insalatine e se qualcuno gli offre della mozzarella rispondono garbatamente e sorridendo “no, grazie, sono vegano”.

Perché mai si dovrebbe provare antipatia per persone così?

In realtà la ragione mi pare ovvia; sospetto che non la si veda perché non la si vuole vedere. Ma la spiegherò lo stesso.

Malgrado ci siano alcuni vegani che fanno quella scelta per le ragioni a-razionali che ho detto, la maggior parte pone il problema in termini etici, di giusto e sbagliato. Contiamo poi che quasi tutta la popolazione mondiale fatica a distinguere fra i concetti di “giusto” e “bello”. Giusto, etico, vuol dire che è un obbligo per tutti. Se io dico “è giusto nutrire i piccioni” sto dicendo che tutti coloro che non lo fanno sono in torto. Se io dico “trovo bello nutrire i piccioni”, non vuol dire che tutto coloro che non la fanno sono in torto, vuol dire solo che hanno una diversa sensibilità. La maggior parte della gente confonde le due cose e le usa indifferentemente, e i vegani non sono da meno. Dunque quasi tutti i vegani dicono, o pensano, o sottintendono, che come fanno loro è “giusto”. E dunque come fanno tutti gli altri è sbagliato.

Ora, il nostro vegano “etico” cosa fa?

Tanto per cominciare è “etico”. È già questo è un motivo di attrito con il resto della popolazione, perché sappiamo che lui pensa che siamo creature immorali e insensibili, o alla meglio vittime manipolate di un perfido sistema di sfruttamento degli animali.

Ma c’è di peggio. Il nostro vegano vuole salvare animali? Fondamentalmente, 365 giorni l’anno non ne mangia, quindi diciamo che ne ha salvati … boh … cento? Duecento? Forse di meno, forse nessuno a ben vedere, ma ammettiamo che ne abbia salvati duecento.

Tuttavia una volta l’anno c’è una cena di Natale e viene invitato dalla nonna che ha fatto il suo piatto migliore: il tacchino come sa farlo soltanto lei.

Siete in dieci invitati e ha fatto un tacchino. Ora, se gli invitati fossero nove, o otto, lei avrebbe fatto sempre un tacchino. Se qualcosa avanza, dopotutto, si può mangiarlo il giorno dopo. Quindi, se il vegano invitato a cena mangia una pezzetto di tacchino o no non cambia nulla: è morto un tacchino. Sì, certo, potremmo ragionare anche così: poiché lui non ha mangiato un pezzetto di tacchino, quel pezzetto di tacchino avanza al giorno dopo e la nonna invece di comprare altra carne mangia il tacchino … Ragionando in questi termini più o meno in dieci anni di rifiuto del tacchino il nostro vegano ha salvato più o meno un vitello. Insomma un successone. La verità è che sostanzialmente poteva tranquillamente farlo di assaggiare un pezzetto di tacchino in quella circostanza occasionale che si verifica una volta l’anno.

Invece non lo fa.

Perché?

Per una questione di principio.

Capite il punto? Quel vegano sa benissimo che quel gesto è un gesto di principio, un gesto comunicativo. Anche in quell’occasione speciale stoicamente opera la sua rinuncia, esibisce il suo volontario martirio.

Qual è l’intento di questo gesto, se non portare avanti, silenziosamente ma non per questo con minor teatralità, un punto morale?

Quel gesto, assolutamente pacifico nella forma,  è di fatto una predica morale.

“Guardate, mentre voi sfruttare gli animaletti indifesi ecco, io nemmeno per un giorno all’anno cedo a Satana! Seguite il mio esempio, peccatori!”

Diciamolo, i vegani sanno benissimo che se uno, o due, o dieci giorni l’anno si fanno una braciola il risultato pratico in termini di vite animali consumate non cambia. Quella rigidità di principio è necessaria a fini comunicativi. Devono farti la predica, sempre ed in ogni circostanza, anzi, specialmente nelle occasioni speciali.

E la predica altro non è che una forma di comunicazione aggressiva: io vi dico il vero e il giusto, io so, voi non sapete, io vi insegno. Non a caso quando il prete faceva il sermone saliva sul pulpito: la predica arriva sempre da qualcuno che sta più in alto. Quindi quella predica al contempo innalza il predicatore e rimprovera chi sta sotto.

Ora, lettori miei, parlo a tutti voi: come vi sentite quando vi viene fatta una predica? Specialmente se voi non sentite di aver fatto nulla di male per cui dovreste meritarvi una tale predica, e non pensate che il predicatore in questione abbia fatto alcunché per meritarsi di innalzarsi rispetto a voi?

A me causa un immediato senso di antipatia per chi sta predicando. Lasciamo stare il fatto che qualche mio lettore “vegano etico” si sente nel giusto e quindi effettivamente ritenga che il pulpito sia il posto adeguato a lui; io sto parlando della reazione che è naturale aspettarsi qui. State facendo un rimprovero a qualcuno che non sente di aver fatto niente di male. Quello si incazza un pochino; sottilmente, silenziosamente, magari. Ma un po’ se la prende. È una reazione del tutto fisiologica, sta ricevendo un rimprovero che per lui è immeritato, si innervosisce.

E questa è una cosa che i vegani non capiscono.

“Ma io non voglio mangiar carne, è una scelta che riguarda solo me, che vi importa? Mi perseguitate per la mia etica, ecco!”

Sicuro? Sicuro che riguarda solo te? Allora perché parli di “etica”? L’etica non riguarda solo te, riguarda tutti. Se davvero lo fai solo per avere meno animaletti sulla coscienza, allora qual è la ragione per cui non sgarri mai, e dico mai, neanche quando il gesto sarebbe a conti fatti ininfluente sul numero di animali morti? Qual è la ragione per cui non ti adatti mai alle circostanze, e dico mai? Perché la tua linea è così categorica che non ti preoccupi di poter mettere a disagio le persone? Perché rifiuti addirittura un pezzo di pizza margherita che ti è stato offerto da un conoscente?

È una questione di rigore con sé stessi? A occhio e croce l’unica ragione per questo rigore è che devi predicare.

Tutto lì.

E ovviamente,  i predicatori danno fastidio, non è una questione di persecuzione.

Ora, se tu sei una persona simpatica e alla mano, di compagnia, tollerante eccetera, ovviamente una tua predica silenziosa può non essere un problema serio. Non penso che dovresti essere emarginato o insultato per questo; potremmo perfino essere amici, io e te. “Che simpatica persona che è, nonostante sia vegano!”
Però quel modo di fare, preso isolatamente da tutti gli altri contributi della tua personalità, tende ad allontanare chi ha una sensibilità diversa. Non è una persecuzione o nulla di simile.

E vi dirò: io un po’ capisco quei vegani che dicono di volersi fidanzare solo con altri vegani. Devono predicare in ogni occasione, non dev’essere facilissimo. Io, che non ho un carattere dei più pacifici, probabilmente non mi metterei con un vegano, perché probabilmente mi scoccerei di vederlo che mi fa la sua predica silenziosa ogni giorno a pranzo e a cena, e lui si scoccerebbe di vedermi alzare ogni volta gli occhi al cielo emettendo un impercettibile sospiro.

Non stiamo parlando di una semplice diversità di sensibilità, il punto è che una delle due sensibilità ha una tendenza a volersi imporre.

Il che forse lo si può sopportare.

Ma difficilmente lo si può anche gradire.

 

Ossequi.

[1] è la seconda volta che parlo di “a-razionalità”; uso il termine in luogo di “irrazionalità” perché non si tratta di qualcosa che va contro la ragione, bensì di qualcosa che semplicemente è per intero fuori dal dominio della ragione; per esempio preferire la pasta alla carne non è razionale o irrazionale, è solo un gusto e la ragione non ha niente da dire sull’argomento



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