Magazine Diario personale

Mansfield Park

Creato il 11 luglio 2014 da Povna @povna

Partecipa molto velocemente al venerdì del libro, oggi, la ‘povna, perché è in partenza. Se ne va al nord per una scappata di due giorni, a festeggiare il Signor M., che fa gli anni. Così, dentro ci mette pure una serata teatrale, a vedere la prova generale dello spettacolo dello Stropicciato e di Thelma, le chiacchiere con tutti quanti (che saranno sicuramente alla festa), e il tentativo di restituire i soldi che legittimamente avanza (perché, nonostante il motto dell’anno, con l’Iban non è riuscita a farlo), ancora per il rondò siciliano, a BibCan.
In mezzo ci metterà la piscina, è ovvio; e poi un ritorno sulla sera che prelude alla finale, che sarà vista al mare, su invito della Venexiana, in un posto che sta iniziando a diventarle molto romanzesco e molto caro.
Per questo, visto che prima di partire ha ancora sospese due incombenze, la ‘povna ripiega su un’idea che le è venuta da una recensione vista oggi, che parla della nuova edizione, per i tipi dell’Einaudi, di Mansfield Park (1814).
Ma allora, che c’è da dire, rapidamente, e che non sia scontato, su Jane Austen? Sostanzialmente, poco; meglio: niente. La ‘povna infatti ha citato le parole di altri, che sono molto opportune e molto belle. Di suo ci aggiunge che, nonostante ci siano un eroe e una eroina (Fanny ed Edmund, pure un po’ noiosetti, a dirla tutta), e due sfaccettati antagonisti (Mary e Henry, attenzione alle parole, non cattivi, sia per detto!), è forse il romanzo più corale della Austen, nel quale il titolo, Mansfield Park appunto (quella della tenuta di campagna che tutto contiene, e tra i cui confini tutto infine torna all’ordine) richiama perentorio l’importanza che fu per l’Inghilterra l’ascesa e il consolidamento di potere della gentry, la nobiltà di campagna di relativo nuovo corso (si parla di Giacomo I, e del XVII secolo) che divenne l’ossatura forte, ideologica prima di tutto, dell’Inghilterra in ascesa.
Merita un discorso veloce anche l’importanza del teatro, in questo testo (sotto la forma di una pièce casalinga che, complice l’assenza del capofamiglia, provano a organizzare a Mansfield Park i protagonisti) – un tema, sia chiaro, che ricorre in tutta l’Europa ottocentesca (Goethe e Wilhelm Meister, giusto per citare l’ovvio, ma anche, per restare in territorio albionico, il Nicholas Nickleby di Dickens), e che qui la Austen mette a tema sfruttando, consapevole, il potere sovversivo, da specchio della società, del palcoscenico, e usandolo sapientemente come catalizzatore della trama.
E poi la ‘povna si ferma, ché altrimenti, viceversa, continua a scrivere fino a perdere il treno (che sulla Austen, primo amore, primo autore su cui schiacciò l’alba, a dodici anni, fa fatica a contenersi). Saluta tutti, finisce le sue cose, e poi galoppa di gran carriera, sorridente, alla volta di Milano.


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