16 agosto 2013 Lascia un commento
Con la puberta’ giunge una nuova consapevolezza che si concretizza con scelte ben precise e lo sbocciare dei gusti che inducono ad intraprendere strade e stili peculiari e spesso formanti per tutti gli anni a venire.
L’industrial entro’ molto presto nella mia vita ma attraverso le sue forme istituzionalizzate per quanto nobili, nel tempo sempre piu’ inglobate in forme piu’ blande quali electropop e new wave, ormai tirate a lucido senza la patina feroce e selvaggia delle prime sperimentazioni che furono pregne di arte performativa dalle solide basi concettuali. I nomi li sapevo tutti, la musica la conoscevo e del resto allora ripescare materiale ancora alle origini e non piu’ vecchio di 4 o 5 anni, non era complicato per quanto fu un assorbire senza un perche’ ne’ un contesto.
Con gli anni poi ci si affina e spesso si da’ per scontato quanto e’ gia’ noto ma basta poco per rendersi conto quanto sia importante approfondire o almeno riprendere nella memoria e nella storia, gruppi, idee e suoni.
Ecco, la forza insita nel "Manuale di cultura industriale" e’ si ripercorrere un genere seminale quale fu l’industrial ma soprattutto restituire le giuste valenze storiche ed artistiche a qualcosa la cui influenza va ben oltre il semplice stile.
Ripercorrendo l’epoca il cui inizio affonda nella meta’ degli anni ’70 e che nei Coum Transmissions, il prototipo performativo pre-musicale dei Throbbing Gristle, vede i suoi albori, gia’ si spiega il senso dell’industrial e del punk, anzi di quest’ultimo ne svela oltremodo la natura di "great swindle" che in fondo gia’ conoscevamo.
Se l’origine del libro e’ nel fondamentale "Industrial Culture Handbook", il bravo ed esperto Bandera, ne fa un punto di partenza per spingersi oltre nel tempo sino al 2010 e analizzando le realta’ italiane ed internazionali andando oltre le pagine originali.
Libro da avere, studiare, leggere e soprattutto da riascoltare e senza dietrologia, avere qualcosa da rimpiangere.