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Manuela Mancini su “Qualcuno è uscito vivo dagli anni Ottanta” di Francesco Dezio

Creato il 22 ottobre 2014 da Lorenzo127

Francesco Dezio, Qualcuno è uscito vivo dagli anni OttantaStorie di provincia e di altri mali (Stilo 2014)

di Manuela Mancini

copertina dezio FRONTE OK
In Qualcuno è uscito vivo dagli anni Ottanta (Stilo, Bari 2014, pp. 128, euro 12), Francesco Dezio raccoglie otto storie di precarietà lavorativa e affettiva: i protagonisti appartengono tutti al proletariato della provincia pugliese degli anni Ottanta (Molfetta, Melpignano, Sansevero, ma soprattutto Altamura, città natale dell’autore). Un proletariato ora sbandato (Storia di un punk di provincia, cronache di tossicodipendenza e di AIDS ai margini della malavita e delle sue faide), ora vessato e sfruttato dai tirannelli locali (gli imprenditori del distretto del divano Santeramo – Altamura – Matera: Storia di Mino; Storia di Mimmo). Si passa, poi, al ceto medio proletarizzato degli anni Novanta e Duemila, talmente impoverito che passeggia negli ipermercati senza comprare, drogandosi di merci anche così (sottili i richiami interni al primo racconto), in un’allucinazione artificiale tra l’incubo e il fiabesco: straordinarie le descrizioni d’ambiente in L’Outlet di Molfetta e Appuntamento al Pianeta (il Pianeta è un ipermercato ormai dismesso della provincia di Foggia).   

   Ciò che tiene insieme queste storie è la tempra comicamente eroica dei personaggi, giovani e meno giovani che hanno ancora voglia di lottare mentre tutto va male, mentre la nazione si va irrimediabilmente sfasciando, mentre il paesello natale sfibra definitivamente l’illusione di essere nido, placenta protettiva (Storia di Carla). Una voglia di lottare che è furiosa, alla Tom Joad di Furore, ed è steinbeckiana nella certezza dell’imminente, ennesimo fallimento, che tuttavia non piega i personaggi: per esprimere questa furia disarmonica, stridente, che genera attrito quando incontra l’indifferenza degli indifferenti, Dezio mobilita tutti gli strumenti espressivi a sua disposizione.

   Innanzitutto la musica, che è la passione prima dei personaggi di queste storie, il loro stesso respiro: Lingomania, Sex Pistols, Pink Floyd, Joy Division, Subsonica, Arab Strap, Afterhours, Cure, U2, Church, Died Pretty, Simple Minds, Led Zeppelin, AC/DC, Clash, CCCP, Underage, Wretched, Ramones, Orda, Ultravox, Not Moving, Chain Reaction, Kranio, Negative Disarcore, Rich Fish in Hands, Delgados. Sono più di settanta i gruppi punk, rock, post-punk, post-rock e grunge citati nel testo in carattere rilevato, a formare un trattatello asistematico (perché narrativo), ma completo (ri-ordinato nell’ultima pagina, da cui è scaricabile con apposita applicazione l’intera playlist), un ‘commentario’ della storia della penetrazione delle controculture musicali di tutti i continenti in un’Italia provincialissima: “Prendiamo il ragioniere, quando ho capito che tipo era gli ho preso le misure e non è che gli concedessi tutta ’sta confidenza. Con lui era sufficiente parlare della Juventus e basta. C’era stato anche il tentativo di parlare di musica. Ma era a giocare. Perché si parlava di Toto Cutugno” (p. 67).   

   Dezio porta alle estreme conseguenze lo sperimentalismo del precedente romanzo, capostipite della narrativa ‘precaria’, Nicola Rubino è entrato in fabbrica (Feltrinelli 2004). Qualcuno è uscito vivo dagli anni Ottanta non è né un romanzo né un racconto né un saggio musicale. Abolendo completamente la voce del narratore, con il suo filtro letterario e la sua funzione di raccordo nei fili della trama, Dezio lascia la parola direttamente ai personaggi, con la loro lingua imperfetta, sgrammaticata, nevrotica, con tutti le idiosincrasie del parlato, che rendiconta drammi individualissimi. L’effetto di verticale e profondissimo realismo è prorompente. Eppure i personaggi si muovono in un ambiente omogeneo, ruminano storie di provincia che appartengono a un immaginario collettivo: così, attraverso una sorta di discorso indiretto libero, piegato alla prima persona e contiguo al monologo, l’autore ricompone insieme le storie con un superiore risultato di unità, tutta affidata allo stile e non all’intrigo romanzesco. Questa è la vena autentica di Dezio, autore schivo e scarno, che non ama operazioni letterarie facili e preferisce farsi dimenticare piuttosto che ripetersi.

     Anche i bozzetti disegnati dall’autore (disegnatore e grafico precario) lasciano intravedere il tentativo di percorrere vie nuove. E persiste il ricordo delle due pagine post-dadaiste di Nicola Rubino è entrato in fabbrica, con la sintassi distrutta, con l’ingorgo di parole in libertà (oggetti in enumerazione casuale, cose della catena di montaggio, parole iperspecialistiche, metaletterarie, pezzi di anatomia femminile, nomenclatura di desideri e azioni sessuali…). Resta la quasi-certezza che l’autore scriverà non necessariamente più spessodi più, ma di cose nuove dette ancora in modo nuovo. Intanto aspettiamo.



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