Ho una sola cosa da dire: Hallelujah! E decidete voi se immaginare l'Hallelujah di Handel o l'Hard Rock Hallelujah dei Lordi. Perché alla fine è vero, la vita fa schifo per tutti e le proprie passioni sono una delle poche cose che riescono a tirarci su da questo marasma di cacca che ci capita ogni giorno. Quindi capite la mia emozione quando uno dei miei registi preferiti di sempre se ne esce con una nuova opera... se non fosse per il fatto che, come al solito, non arrivo mai a vederla al cinema. Devo attendere quindi mesi, attendere che arrivi in dvd e che sia quindi reperibile in qualche maniera, perché per la distribuzione distribuire cinema di qualità [o che si portavoce di un nome che ha saputo dare il suo contributo alla settima arte] è una cosa troppo trasgressiva e impensabile. Oppure la colpa non è tanto della distribuzione, che alla fine è composta da uomini che fanno unicamente il loro lavoro e devono pagarsi l'affitto come tutti, ma dalla gente che ignora a prescindere certe pellicole e certi titoli a nome di prodotti decisamente più usufruibili. E so che è una cosa azzardata da dire di un film che non si è nemmeno visto, ma il bello di Cronenberg è che, anche coi suoi film meno riusciti - qualcuno ha detto A dangerous method? - riesce sempre a sollevare delle riflessioni non indifferenti. E ce la fa anche con questa sua ultima (per ora) fatica, anche se...
Havana Segrand è un attrice sulla via del tramonto perseguitata dal fantasma della madre, attrice di successo anch'ella, in procinto di interpretare la pare che fu della genitrice in un remake. Benjie Weiss è un ragazzino tredicenne divenuto famosissimo pochi anni prima grazie a una serie di film comici, mentre Stafford Weiss, suo padre, è un noto psicoanalista televisivo. L'arrivo di Agatha, giovane ragazza dal volto ustionato, stravolgerà le loro esistenze.
Non mi sono mai ritenuto una persona particolarmente cervelluta. E non lo dico per fare il grande e ribadire di essere intelligente, no, non è la negazione che afferma il proprio contrario. Io da piccolo mangiavo la sabbia nella sabbiera dell'asilo e lo faccio tutt'ora, quindi cosa c'è da aspettarsi? Probabilmente che Cronenberg sia (dopo Kubrick e Lynch) nella tripletta dei miei best director ma che, nonostante tutto, io non lo abbia mai capito appieno. Perché non basta dire di amare alla follia Videodrome - chi non ama quel film è una brutta persona, punto - ma quando, a differenza di molti altri colleghi fanboy, mi ritrovo ad elogiare pellicole contestatissime come Il pasto nudo e Cosmopolis, allora mi faccio qualche domanda. Così come mi sono fatto qualche domanda nel vedere questo Maps to the stars, film che come solo pochi hanno saputo fare ultimamente mi ha messo addosso un quantitativo di confusione e disagio ai limiti del sopportabile. Eppure parliamo di una trama linearissima e delle scene che, anche quando è presente, non indugiano in maniera marcata o morbosa sul sangue. C'è tutto quello che ci sta attorno ad alimentare un fuoco malsano ma, forse, assolutamente necessario. C'è una Hollywood presa di mira ma, più che allo star system [al quale comunque non se ne risparmia nessuna] è alle persone che lo compongono che lo sguardo accusatore della macchina da presa è rivolto. Persone perseguitate dai vari fantasmi (e da un cast che sembra riciclato dagli ultimi film del regista, con quel Pattinson ancora una volta ancorato a una limousine e a quella Sara Gadon che, dopo aver fatto un giro col figlio Brandon in Antiviral, sembra sempre più bella, anche se l'immensa Julianne Moore la mette da parte con una delle performance più assolute e coraggiose degli ultimi anni), persone che hanno coronato il sogno americano di gloria e successo ma che ne sono rimaste schiacciate. Havana è una donna egocentrica, insopportabile, esaurita e nevrotica, che arriverà a gioire della morte del figlio di una collega - mamma mia che sena, quella! - dopo che quel fatto le permetterà di avere la parte che ambiva, quella che diede successo a quella madre che che abusò di lei e dalla quale si è sentita sempre perseguitata. E sarà proprio quel bambino che, insieme a un altro, vedrà Benjie, infante che tra droga, eccessi, soldi e sovraesposizione mediatica, forse è morto da tempo come quei suoi simili. Poi però arriva Agatha, una ragazza che, forse proprio per il fatto di essere vissuta lontano da tutto quello, porta il primo vero spiraglio di vita in quel mondo. Una vita che, com'è naturale che sia, non è perfetta e nemmeno idilliaca. E' una vita provata, come provate sono e star che incrocia. C'è una strana analogia con la morte - e col fuoco - che non è quella totalizzante e assoluta che determina una fine, ma è un sentore che ti cammina sempre accanto. I personaggi qui ritratti esistono, ma si può dire che essi vivano? Sono perennemente circondati da un mare di bugie e ipocrisia, mentono a tutti e soprattutto a se stessi, dando così origine a tutti i guai. Ognuno mostra solo una facciata di sé, nell'armadio sono nascosti scheletri enormi che faranno ritorno, perché tutto muore, tranne la verità. E forse è proprio quella che sopravviverà alla fine. solo e unicamente quella. Un messaggio forte e potente ma che, però, non è veicolato nella giusta maniera, La travagliata sceneggiatura di Bruce Wagner mette un mostra dei personaggi esagerati coinvolti in delle azioni esagerate, ma a lungo andare tutto questo sembra... esagerato. Troppo e quasi gratuito. Hai come la sensazione che certe scene e altrettanti passaggi si sarebbero potuti evitare senza problemi, come quelli del fantasma della madre di Havana, che in quello sfarinare abusi, visioni, psicomanie e addirittura incesti faccia quasi parte dello stesso gioco di sovraesposizione che si vuole criticare. Ma più imperdonabile di tutte è una regia distaccata e quasi annoiata, che lasci tutto così, quasi artefatto e a metà strada. Come forse è veramente l'ambiente hollywoodiano che Cronenberg sembra conoscere alla perfezione, ma forse a questo giro l'autore, senza però perdere il suo smalto, si è schifato un po' troppo ed ha messo i guanti. E non puoi pretendere di non sporcarti se vuoi ritrarre il marcio.
Un film esagerato ma veicolato da un grande messaggio, come nella miglior tradizione del regista canadese. Assolutamente non il capolavoro che poteva ambire di essere, ma comunque un film che ti perseguita fino allo sfinimento anche quando i titoli di coda hanno smesso di scorrere da un po'.Voto: ★★★