All’età di circa 30 anni, Ellen Forney scopre di essere affetta da disturbo bipolare e decide di descrivere la sua esperienza.
Il racconto ha lo stile di un memoir, genus della specie “autobiografia”, che differisce da questa poiché non racconta un’intera vita, ma una singola esperienza di vita, mediante informazioni disorganiche e non diacroniche.
Attraverso i suoi appunti sparsi e spesso sconclusionati, raccolti durante il periodo di terapia, l’autrice riporta con un approccio fortemente scientifico le manifestazioni del bipolarismo: cioè l’alternanza di picchi di euforica e febbrile mania, caratterizzati da frenetismo, incontinenza di pensiero e libido, a fasi depressive, autodistruttive e di alienazione.
La narrazione è caratterizzata da una profonda genuinità e da un ammirevole coraggio di spogliarsi totalmente di fronte al lettore, permettendogli di ottenere un’esperienza a tutto tondo del disturbo: dalle sue problematiche iniziali sull’accettazione, sino a giungere alla vergogna di comunicare ad altri l’esistenza della malattia a causa del timore di essere ripudiati.
Ellen affronta il suo disturbo in due distinte fasi:
Nella prima crede di essere entusiasta del suo problema, ritenendo che il bipolarismo sia un presupposto fondamentale della sua creatività.
Tutti i più grandi artisti della storia sono stati affetti da disturbi della psiche, entrando a far parte del cosiddetto “Club Van Gogh”: da Michelangelo a Munch, Da Baudelaire a Virginia Woolf, Da Hendrix a Cobain.
Lungi dall’essere interessata a curare la propria malattia, Ellen ritiene di essere un soggetto predestinato, baciato dalla musa della follia, che costituisce un prezzo più che giusto da pagare in cambio del proprio talento; ritenendo addirittura che i farmaci possano inibire la sua creatività.
In una seconda e più consapevole fase, l’autrice decide di curarsi, descrivendo nel dettaglio la terapia, i farmaci assunti e l’enorme difficoltà dell’affrontare le conseguenze della malattia con i conoscenti e nella sua vita lavorativa, che alterna periodi di iper-produttività e vita smodata, e periodi di reclusione in casa.
La lettura di quest’opera è tutt’altro che rilassante e a tratti piuttosto disturbante.
Il lettore si trova spesso trascinato come in un gorgo, poiché l’autrice, attraverso una descrizione degli eventi tipica del flusso di coscienza, lo catapulta negli infiniti e deliranti pensieri delle fasi maniacali, che permettono di immedesimarsi in quel senso di spaesato straniamento che lei stessa stava vivendo.
I disegni sono molto stilizzati, semplici ed essenziali; non v’è spazio per la minuzia e la cura del dettaglio.
L’autrice inserisce nella narrazione alcuni bozzetti disegnati di getto durante la terapia, che simboleggiano il suo umore o alcuni pensieri ed ispirazioni del momento.
Spesso vengono utilizzati dei diagrammi di flusso “disegnati”, ovvero tavole con un ordine schematico di fondo, per descrivere delle situazioni e dei rapporti causa-effetto, oppure alcuni concetti, sia tecnici che non.
Marbles è un’opera di rilevante interesse, composta “per intervalla insaniae”,1 che porta a conoscere con paurosa realtà un disturbo tanto diffuso quanto poco considerato nella quotidianità, con un forte messaggio di speranza e un invito a reagire per chi si trova nella medesima condizione.
Quel punto finale, quel semplice, muto e radioso “Sto bene” con cui si conclude il fumetto, quasi fosse un mantra da ripetere a se stessa, costituisce un monumento di vittoria, il segno di un’opera che l’autrice ha deciso di lasciare più per sé che per il pubblico;
Il racconto di un’esperienza travagliata e del traguardo del suo superamento, la cui messa su carta pare essere condizione necessaria e rassicurante per convincersi di aver finalmente sconfitto un’ombra.
Abbiamo parlato di:
Marbles
Ellen Forney
Traduzione di Micol Beltramini
Edizioni BD – collana Psycho Pop, giugno 2014
256 pagine, brossura, bianco e nero – €18,00
ISBN: 9788866348818