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Marc Augé: La traversata del Lussemburgo

Creato il 23 aprile 2012 da Sulromanzo

«Il metrò è una droga»
M. Augé

Mappa, I Giardini del Lussemburgo
I Giardini del Lussemburgo furono aperti nel 1612 da Maria de' Medici, nel VI arrondissement di Parigi, e ospitano il Palazzo del Lussemburgo e uno stagno su cui si tengono regate di barche in miniatura. Di qui passarono I tre moschettieri di Dumas e, a pochi passi, nell'Hôtel des Principautés-Unies, alloggiò William Faulkner in una camera con vista sui Giardini. Di qui, tra gli altri, transitò spesso Georges Perec e anche alcuni suoi personaggi letterari. Poi, giunse Marc Augé che ne fece il titolo di un suo libro (La traversée du Luxembourg, pubblicato da Hachette nel 1985), passando dall'etnologia africanista all'antropologia delle «società complesse», ovvero «casa nostra».

È catalogabile come un ibrido I giardini del Lussemburgo di Marc Augé (trad. Francesco Lomax, Ei Editori, 2000), forse la prima traccia compiuta di un'idea dell'etnologo del metrò, quella della possibilità di avvicinare indagine etnologica e romanzo, intesi entrambi come fonti: l'idea che la narrazione di una soggettività (etnologica) non sia in fondo e sempre romanzo. Un ibrido che unisce, dunque, osservazione e riflessione etnologica, diario personale, narrazione romanzata, flânerie strutturata. Lo spazio cittadino, in questo senso, costituisce un immenso luogo di osservazione, niente escluso, nemmeno la pubblicità, i discorsi e i gerghi raccolti da ascolti stradali, i contegni e le abitudini degli utenti della metropolitana.

Così, il testo si apre con una radiosveglia regolata alle sette del mattino, si espande nel flusso delle notizie — Fignon vincerà il Tour de France, il meteo prevede sole e rischio di qualche temporale in serata —, prende forma nel caffè da riscaldare, per poi slargare grazie alle attività della giornata, compresa l'osservazione dei rasoi di plastica usa e getta, che consentono, una volta che ci si è rasati e profumati, di non mettersi «ad elaborare una definizione tecnica del lavoro alla maniera di Adam Smith, Ricardo o Marx», ma a leggere una strana pubblicità inviata dalla Presses Universitaires de Chambéry su uno studio etnografico francese, il cui «autore ha vissuto in una periferia urbana condividendo la vita e le preoccupazioni quotidiane dei suoi abitanti». Sono semplici premesse che preparano all'uscita da casa e all'ingresso nella metropoli, che significa — sempre — attraversamento e percorsi. E «sono percorsi di questo genere», dice l'Augé/personaggio del libro, «che l'etnologo romanziere ci dovrebbe restituire e in un certo senso è a questo che si applicano le storie di vita alle quali manca spesso la preoccupazione teorica. In un certo senso, il romanziere, più dell'etnologo, scrive delle storie di vita. Quest'ultimo fa come se il racconto raccolto fosse portatore di una doppia verità: quella dei fatti riportati e quella dei fatti vissuti, con la somma di queste due verità che in qualche modo costituisce la somma del reale (oggettivo) e della verità (soggettiva, storica, culturale)».
L'attraversamento (in questo senso il titolo originale rimanda in maniera più veritiera al contenuto del testo) è allora occasione di un triplice lavoro: riflessione su di sé, osservazione e narrazione. Su questo binario, Augé mette in campo tutte le direzioni che caratterizzeranno il suo lavoro futuro: l'etnologia del metrò, una crescente vocazione narrativa, l'individuazione del concetto di luogo e non-luogo. E percorre la città, in superficie ma soprattutto sottoterra, passando per Sèvres-Babylone, suo incrocio di linee quotidiano, dove un buon osservatore potrebbe intuire dal suo comportamento le attività del momento e, perfino, il giorno della settimana.

«Amo i percorsi in metropolitana. Da quando gli autobus non sono più un piacere, da quando sono spariti gli autobus con la piattaforma e che potevano viaggiare spediti entro Parigi senza le corsie preferenziali, c'è solo il metrò che permette di cambiare convoglio a vista. Mi ci abbandono a volte, per il piacere di un momento a Montmartre quando non ci sono ancora i turisti, di quattro passi a Place de la Concorde di sera, un sandwich alla stazione Montparnasse, di un sandwich dal gusto di treno — i sandwich delle stazioni non hanno lo stesso sapore degli altri, come affumicati dal carbone delle macchine a vapore scomparse; o ancora, per il piacere delle scoperta, di un istante di smarrimento all'uscita di una stazione in cui posso credere di non essere mai disceso perché il suo nome (Montgallet, Boulets-Montreuil) non mi dice nulla o perché non sono certo di non confonderla con la sua vicina (Fèlix Faure con Boucicault, Pernety con Plaisance, Couronnes con Ménilmontant o Ranelagh con La Muette)».

Qui c'è tutta la storia della flânerie e di ogni possibile esplorazione (letteraria) della metropoli: da Baudelaire a Goerges Perec, con fermata intermedia presso Franz Hessel.

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