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C’è qualcosa che unisce l’amministratore delegato della Fiat-Chysler Sergio Marchionne e l’amministratore delegato dell’Italia Silvio Berlusconi. Un legame che nasce dai processi, dalla voglia di evitarli ad ogni costo, a meno che non cadano in prescrizione. La differenza sta nel fatto che il secondo per evitarli esce dalla Confindustria mentre il primo non esce dall’Italia come molti desidererebbero.
Sui processi che attendono Silvio sappiamo quasi tutto, fino alla nausea. Su quelli che spaventano Sergio abbiamo saputo qualcosa ieri. C’è infatti una motivazione tra quelle che hanno indotto la Fiat a dimettersi dalla Confindustria un po’ nascosta nelle cronache nei giornali. Ha spiegato Marchionne: “Sarei stato sommerso dai ricorsi della Fiom e questo mi indebolirebbe: non posso passare il tempo in tribunale”. Non sembrano le lamentele care a Silvio? Oltretutto Cesare non può sperare nel legittimo impedimento o in un’amnistia.
L’inevitabilità dei processi nasce dal fatto che l’accordo del 28 giugno firmato anche dalla Cgil, oltre che da Cisl Uil e Confindustria, avrebbe “depotenziato” l’articolo 8 del decreto “ammazza – statuto” tanto caro al governo di centrodestra. Alla faccia di quanti, anche nel sindacato della Camusso, avevano detto e scritto che proprio quell’accordo del 20 giugno aveva invece “potenziato” l’articolo otto. Marchionne, con l’aiuto di Bombassei, ha capito la trappola. Non aveva più la sicurezza di farla liscia in tribunale ed è scappato dalla Confindustria.
E così ora, come ha lucidamente scritto Enrico Marro sul “Corriere”, potrebbe puntare a un suo contratto dell’auto e la Fiom non potrebbe ricorrere al giudice, chiedendo l’applicazione del contratto nazionale firmato con la Confindustria, non essendo più la Fiat associata a detta Confindustria. La Fiom poi, senza più una rappresentanza, non avrebbe più la possibilità di appellarsi ai giudici. Anche perché esiste un articolo dello Statuto modificato nel 1995 da un improvvido referendum voluto da Rifondazione Comunista, che assegna il diritto a costituire le rappresentanze aziendali solo ai sindacati firmatari di contratti…
Come uscirne? Anche qui calza il paragone con Silvio. Per liberarsi del premier non basta davvero l’attesa estenuante di processi risolutivi. Occorrerebbe un moto popolare, con elezioni e un voto di massa liberatorio. Così per Cesare sarebbe necessario un movimento rivendicativo nelle fabbriche Fiat, una scesa in campo capace di rivendicare un nuovo corso unitario e anche qui liberatorio.
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