Tra le esperienze ripercorse e analizzate quella di un cantiere navale, lo Shipfactory e quella della Fiat- Hitachi. E poi, anche guardando al passato, i consigli di gestione, i consigli di fabbrica (con l’autunno caldo), il piano d’impresa del 1979, il protocollo Iri, la codeterminazione svedese. Storie, vicende, elaborazioni teoriche che devono fare i conti con una strutturale incompletezza dei contratti di lavoro. E anche con una debolezza sindacale: “il perseguimento di una visione compensativa della dinamica salariale”, scrive Piotto, “il distacco dalla condizione materiale indebolisce la strategia rivendicativa del sindacato… La condizione di lavoro e i meccanismi che strutturano le relazioni di potere sono risucchiati nella residualità”. Le conclusioni dell’autore guardano a quel diritto all’informazione e alla conoscenza, quale “premessa per promuovere con l’azione collettiva interventi finalizzati a mutare i rapporti tra libertà e dominio”.
Igor Piotto conclude con una proposta, uno “Statuto dei luoghi di lavoro” (già ipotizzato in un quaderno di Rassegna sindacale curato da A.Cristini e R.Leoni nel 2005) , attraverso un protocollo organizzativo comune ai contesti aziendali, onde sostenere “la sperimentazione di forme avanzate di democratizzazione della vita di lavoro, con un sistema di regole capaci di rendere effettivamente esigibili i nuovi diritti di cittadinanza”. Un modo per riprendere (e non deformare) l’ispirazione di fondo dello Statuto dei lavoratori (“ancora oggi garanzia imprescindibile degli spazi di libertà del lavoro”).
Una prospettiva ambiziosa e che cade in una fase in cui i nuovi manager - vedi Marchionne – negano ad ogni costo proprio quel “diritto allo sguardo”. Eppure questa cultura del controllo potrebbe essere utile anche alle imprese. Molto più di una devastante americanizzazione. Osservano nella presentazione al libro, Gian Carlo Cerruti e Vittorio Rieser come, attraverso quei diritti, il sindacato potrebbe godere di una doppia legittimazione: “Quella derivante dalle funzioni di rappresentanza degli interessi e quella derivante dalle funzioni di soggetto di innovazione produttiva”. Ci pensi, Marchionne, lui che vuole apparire come il condottiero di un’innovazione produttiva decisa in autoritaria solitudine e non costruita sul consenso motivato.
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