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Marchionne, l’uomo che vuole importare Detroit

Creato il 01 agosto 2013 da Albertocapece

marchionne e bonanniDopo l’Avvocato, l’avvocaticchio. Marchionne non è figlio di Giovanni o di Umberto Agnelli e tuttavia è come se fosse una quarta generazione decadente e inetta essendo stato scelto per fare da tutore ai residui di una famiglia non in grado di reggere un impero industriale e probabilmente nemmeno un bar del centro. La Fiat e la sua sopravvivenza, hanno giocato un ruolo marginale rispetto alla scelta di un uomo destinato più che altro a salvare il patrimonio. E infatti Marchionne, cittadino canadese residente in Svizzera, fino a dieci anni fa non aveva mai nemmeno visto un’industria manifatturiera essendosi sempre occupato di finanza, ragioneria, fisco.
Ma la convinzione che il denaro in grado di riprodurre se stesso era assai più interessante della produzione di cui Marchionne con tutta evidenza non capisce nulla, facendo discorsi da principiante: ciò che conta è il profitto e anche l’avventura Chrysler è stata perseguita in questa ottica, con l’incongrua unione di due gruppi industriali radicalmente differenti nell’ottusa illusione che sommando i numeri dell auto prodotte si potesse dare vita a un costruttore che se la giocava con i grandi e i grandissimi.

Nulla di tutto questo è accaduto: il gruppo vende meno che all’inizio della cosiddetta fusione. E se la Chrysler, dopo un breve fuoco di paglia, comincia di nuovo ad incontrare difficoltà, grazie anche a un insulso modello voluto dall’uomo del maglioncino, la Fiat è al lumicino, la Lancia è praticamente scomparsa, l’Alfa Romeo è in vendita o in esodo dentro una crisi profonda di prodotto e progetto dalla quale Marchionne non ha idea di come uscire, ma nemmeno vuole uscire. Questo dopo che l’Italia ha speso miliardi di euro pubblici per sostenere l’azienda torinese e ha anche fatto di tutto per evitare che entrassero concorrenti diretti a creare posti di lavoro.

Ora per giustificare se stesso dice che in Italia non si può fare impresa. Chissà come poi siamo riusciti a diventare il secondo Paese industriale d’Europa. Probabilmente perché non c’erano i Marchionne i quali evidentemente considerano che l’ideale per mettere su l’industria sia una città fantasma come Detroit, ormai fallita, semi abbandonata nelle sue zone centrali e affollata solo dalla criminalità, dove una casa di oltre 100 metri quadri può  costare appena 300 dollari. Sono queste le realtà che piacciono a Marchionne: quelle dove degrado e miseria forniscono un’arma ideale per offendere la dignità del lavoro.

Oddio il sistema politico si sta dando da fare per accontentare l’Ad della Fiat e creare le condizioni ideali per la produzione. Peccato che quei testoni di italiani siano così recalcitranti a farsi entrare in testa che miseria, sfruttamento, precarietà, assenza di welfare siano una manna per la competitività. E in più ci si mettono anche i tribunali che impongono di ripristinare un minimo di agibilità sindacale, incuranti che così fanno piangere Bonanni. Così che molto presto Marchionne porterà tutto via dando l’addio a questo mondo crudele e invidioso che non capisce perché lui debba guadagnare in un anno più di tutti i lavoratori di Pomigliano.


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