Magazine Lavoro
Poco più di un mese fa, lo stabilimento Fiat di Melfi riceveva la benedizione di Mario Monti. Era abbastanza chiaro che dalle officine Sata il presidente del Consiglio stava aprendo la sua campagna elettorale. «Oggi, da Melfi, parte un’operazione che non è per i deboli di cuore, ma noi sappiamo che può emergere un’Italia forte di cuore», aveva detto Monti in quell’occasione, durante la quale Marchionne annunciava un investimento di un miliardo di euro, per avviare la produzione di due nuovi modelli di auto. Il fatto è che Marchionne non ha perso il vizietto di tenere praticamente nascosto il piano industriale, come fa notare la Fiom lucana. E non si nascondono i timori per un nuovo caso Pomigliano, con discriminazioni nella rotazione della cassa integrazione.
Ma i timori per un caso Pomigliano a Melfi non possono essere taciuti anche considerando che, nonostante gli annunci in pompa magna ed il ricatto ai lavoratori ed il loro maggiore sfruttamento, la produzione della Panda non ha affatto rilanciato lo stabilimento di Pomigliano. Tant’è che proprio per questo stabilimento sono stati annunciati ben 1.400 esuberi, cha vanno ad aggiungersi alla chiusura dell’Iribus della Valle Ufita, in provincia di Avellino e dello stabilimento siciliano Fiat di Termini Imerese. Eccolo il «il senso di responsabilità che Fiat sente verso il Paese», strombazzato da Marchionne lo scorso 20 dicembre a Melfi, davanti ad un Monti compiaciuto per la riconoscenza mostratagli dall’Ad Fiat «per ciò che ha fatto». E qua, evidentemente, Marchionne si riferiva ad esempio a quella riforma del lavoro che riporta i diritti delle lavoratrici e lavoratori e le loro condizioni di sfruttamento, molto indietro nel tempo.
Sarà per questo che Marchionne, rinvigorito ed entusiasmato dal ritorno di tempi in cui sfruttare gli operai era molto più facile, nei giorni scorsi, a Detroit per il salone dell’automobile, ha annunciato che nel caso di un ritorno delle Alfa Romeo negli Stati Uniti, queste monterebbero “wop engines”. In pratica motori “wop”, che è il termine razzista con il quale, in maniera profondamente dispregiativa, venivano definiti gli italiani negli Usa. Erano gli anni di inizio secolo scorso, quando i lavoratori (che quando erano italiani erano, appunto, wop, oppure macarrone, black dago, ding, green horns, mafia-mann, napoletano) erano costretti a lavorare più di otto ore al giorno, in condizioni di sfruttamento tali che spesso ci si ammalava e si prendevano paghe che consentivano solo una povera esistenza. Allora i padroni erano padroni. Come anche oggi Marchionne.
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