Michaela Biancofiore ha stabilito un curioso primato. Nel giorno in cui il Parlamento ha votato la fiducia al governo di Mario Monti, l’onorevole bolzanina è stata l’unica che ha fatto risuonare nell’aula una parola in lingua tedesca: Todesmarsch. Locuzione assai impegnativa, persino minacciosa e corrusca, quasi a voler materializzare un incendio demolitore (e a quel punto, come direbbe Carlo Emilio Gadda, “urlarono le sirene dalle ciminiere o dagli stabilimenti vicini verso il cielo torrefatto: e la trama criptosimbolica delle cose elettriche perfezionò gli appelli disperati dell’angoscia”[1]).
In realtà nessuno tra i suoi ascoltatori ha potuto capire il senso o il dramma insito in quell’espressione. E non è certo bastata la perifrasi con la quale Biancofiore ha tentato di spiegarla a dissiparne il fumoso (si parlava d’incendi) oracolo. “Todesmarsch” è infatti la celebre formula che Michael Gamper, il Kanonikus artefice delle scuole delle catacombe e della casa editrice Athesia, utilizzò per descrivere la condizione di difficoltà patita dalla popolazione sudtirolese nei primi anni cinquanta del secolo scorso, quando la tutela offerta dal primo statuto d’autonomia non era sufficiente a tacitare la paura di un collasso demografico e culturale della minoranza tedesca e ladina.
Recentemente, alcuni storici di lingua tedesca hanno peraltro suggerito di relativizzare il grido d’allarme scandito poi dalla propaganda del “Volk in Not” (si ricorderanno i cartelli di Castel Firmiano e il motto “Los von Trient” che ne discende). Leopold Steurer ha per esempio osservato che la funesta prognosi di Gamper si basava su un calcolo errato. Citando gli studi del geografo di Innsbruck Adolf Leidlmair, è stato così accertato che tra il 1945 e il 1958 l’emigrazione italiana comportò lo spostamento di non più di 25.000 persone[2]. Sicuramente molte, ma Gamper parlava di 60.000: cifra più psicologica che statistica.
Aggiornata alla situazione attuale, e riferendola poi al gruppo linguistico italiano, è palese che chiunque usi un’espressione del genere rischia solo di mettere seriamente a repentaglio la propria credibilità (peraltro già ampiamente compromessa). A meno che, per “marcia della morte” Biancofiore non avesse in mente gli italiani intesi come individui, quanto piuttosto i partiti che dovrebbero rappresentarli (a cominciare dal suo). Questi sì storicamente incapaci di dotarsi di una strategia efficace sul piano territoriale e per questo condannati a replicare periodicamente il petulante richiamo a un destino cinico e baro prodotto però in larghissima parte dalla propria manifesta inconsistenza.
Ma non è finita qui. Non paga di aver lamentato l’inverosimile, sia nel richiamo storico che nella valutazione dei fatti presenti, Biancofiore ha riproposto (ahinoi, si tratta ormai di un pericoloso refrain) come unica via d’uscita dalle strettoie di un’autonomia giudicata “ingiusta” la soluzione di dar vita a un Alto Adige indipendente secondo il modello del Principato di Monaco. Abolizione delle tasse e fiumi di latte e miele a profusione. Una scemenza che, com’ è logico, ha coalizzato contro di lei non solo tutti gli esponenti principali della cosiddetta “destra italiana”, ma ha fatto persino scuotere la treccia ad Eva Klotz, in genere sempre pronta a raccogliere e amplificare qualsiasi spunto secessionista anche solo vagamente accennato (“Ich kämpfe für den Tiroler Freistaat – ha chiosato quest’ultima – Michaela Biancofiore steht am ehesten für eine Italienische Freistaatsidee”, bollando la bionda pidiellina col titolo di “opportunistische Chauvinistin”[3]). E pensare che c’è stato un tempo, neppure troppo lontano, nel quale persino il sottoscritto ha contribuito a mettere in circolazione l’idea di una possibile indipendenza da cogliere col concorso di tutti i gruppi linguistici residenti in questa terra.
[1] Caro Emilio Gadda, L’incendio di via Keplero, in: Accoppiamenti giudiziosi, Adelphi 2011, pag. 128.
[2] Cfr.: Leopold Steurer, Historische Hintergründe zur Feuernacht. Über Ursachen, Verlauf und Konsequenzen der Südtirol-Attentate der 1960er-Jahre, in: Manuel Fasser, Ein Tirol-Zwei Welten. Das politische Erbe der Südtiroler Feuernacht von 1961, StudienVerlag 2009, pagg. 163-186.
[3] Hannes Senfter, Michaela, die Seiltänzerin, in: Tageszeitung, 22.11.2011, pag. 2.