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Marco de Bacco tra vino e rock

Creato il 14 febbraio 2013 da Tipitosti @cinziaficco1

Il suo destino era inciso nel nome. Marco non gli si è opposto, ma ha deciso di reinterpretarlo a modo suo, dandogli un esprit rock. E sapete perché? Di cognome fa de Bacco, di mestiere l’imprenditore vitivinicolo www.debacco.it , ma il vino che produce è diverso da quello che hanno sempre prodotto i suoi genitori e i suoi concittadini.

“Il mio rosso – spiega – è un vino che ha il sapore della fatica e piace a chi non segue le mode. Il mio rosso è rock”.

Marco de Bacco tra vino e rock
Nato a Feltre, nel Bellunese, Marco De Bacco è uno dei più giovani produttori vitivinicoli d’Italia. Ha ventiquattro anni ed ha ottenuto un riconoscimento per il suo Cuss.

Come ha iniziato?

Produrre vini è una tradizione di famiglia, che si tramanda da secoli. Abbandonata verso la metà degli anni Cinquanta, è stata ripresa cinque anni fa. A dire la verità, non avevo intenzione di fare il produttore di vino. Agli inizi la passione per la viticoltura era solo un hobby di famiglia, anche se un tempo rappresentava una grande fonte di reddito per tutto il territorio del Feltrino. Pensavo  di trovare sbocchi professionali  in altri settori. Ho avuto qualche esperienza lavorativa nei periodi estivi degli anni del liceo come commesso in un negozio di telefonia. Con la crisi economica, ho capito subito che l’agricoltura mi avrebbe salvato. Prima mi ero sbagliato. Spinto, comunque, da un profondo amore per la mia terra dura, povera, aspra e ripida, mi sono buttato in questa avventura. Ho acquisito, così, la piccola azienda di mio  nonno Pietro, del mio papà Domenico e di mio zio Luigino, che in quegli anni aveva un piccolissimo vigneto storico di impianto anni Trenta, esteso per circa duemila metri quadrati.

Poi?

Beh, a quel punto è partito il progetto di recupero delle varietà autoctone del Feltrino. In questo piccolo appezzamento resistevano ceppi molto vecchi di Pavana, varietà a bacca rossa e di Bianchetta, a bacca bianca. Poi è entrata in azienda anche mia sorella Valentina, che, nel frattempo, si era laureata in marketing e comunicazione aziendale, senza trovare alcuno sbocco lavorativo in provincia di Belluno. In poco tempo io e lei siamo riusciti a mettere insieme un bel gruppetto di appezzamenti di vigneti coltivati con queste nostre varietà. Ne abbiamo realizzati di nuovi e recuperato quelli vecchi e abbandonati. Dopo pochi anni ho capito che questa attività ci avrebbe regalato grandi soddisfazioni personali e avrebbe contribuito in modo significativo allo sviluppo del Bellunese. Una zona per troppi anni esposta ad un’ industrializzazione eccessiva, che negli anni ha portato solo all’abbandono dei terreni agricoli di montagna con i problemi conseguenti da rischio idrogeologico e avanzamento del bosco.

Come è stato l’inizio?

Il primo periodo è stato di grandissimo entusiasmo. Poi, per una breve fase, ci siamo spenti, a causa delle innumerevoli difficoltà burocratiche. C’era la resistenza di chi non credeva che anche nel Bellunese si sarebbe potuto produrre un vino di alta qualità. Il nostro prodotto è stato tante volte stato disprezzato. Ma poi gli anni, l’esperienza e il notevole salto qualitativo delle nostre produzioni, ci hanno premiati.

Ci parli dell’azienda.

Si trova a Feltre, in provincia di Belluno. Abbiamo piccolissimi appezzamenti, diffusi tra i Comuni di Feltre, Fonzaso, Arsiè, Seren del Grappa, Lentiai e Belluno. Poco più di cinque ettari di vigneto in un territorio montano, su terreni che partono dai 350 metri di altitudine ed arrivano agli 800 metri con pendenze del 60%. Abbiamo vigneti vecchi della prima metà del Novecento e impianti nuovi, realizzati da poco ed in parte già in produzione. La produzione è costituita soprattutto dai nostri vitigni autoctoni e per il resto da altri vitigni. Produciamo ventimila  bottiglie l’anno, le rese sono molto basse: si va dai 30 ai 60 quintali per ettaro a seconda della tipologia. Abbiamo più che altro un rapporto di vendita diretta e seguiamo attentamente il settore Ho.Re.Ca.

Quali sono le difficoltà maggiori oggi della sua attività?

La cosa più difficile è far capire ai bellunesi che anche in provincia di Belluno è possibile produrre vini di qualità e che il nostro territorio, anche se aspro, ha grandi potenzialità e si potrebbero creare nuovi posti di lavoro da questo settore.

A condizione che?

Questo può avvenire anche senza farsi “colonizzare” dall’impero del prosecco. Occorre iniziare ad avere un occhio di riguardo per la provincia e cominciare a guardare oltre.

Dice spesso: “Il mio vino ha il sapore della fatica e dell’impegno”.

Sì, e alludo alla vendemmia, che è molto dura. Viene fatta con la gerla. Solo a mano. Così evitiamo che gli acini si rompano. La gerla è l’unico strumento che riusciamo a portare in cima ai vigneti.

Ci spiega cos’è?

E’ una cesta che si mette sulle spalle. Solo con la gerla è possibile scendere dai pendii ghiaiosi, dove sono situati i nostri vigneti, diffusi in Comuni diversi e con un effetto piuttosto pesante. Ci sono tempi di maturazione differenti. Per questo siamo costretti a fare più vendemmie.

E veniamo al Cuss, quello per cui le è stato conferito un riconoscimento.  

Il Cuss è un vino rosso, ottenuto da una selezione di uve Merlot, provenienti da uno dei nostri vigneti più antichi nel Comune di Mugnai. Abbiamo ricevuto un punteggio da medaglia d’argento al CERVIM, il concorso internazionale dei vini di montagna. Sono molto orgoglioso di questo, perché ricevere un riconoscimento così importante significa essere partiti con il piede giusto. Questo ti spinge a fare sempre meglio.

Lei è uno dei più giovani produttori di vino in Italia. Oggi cosa la spaventa di più?

Sono uno dei più giovani, ma non sono il solo. Ci sono anche altri ragazzi giovani che, come me, si sono rimboccati le maniche e si sono inventati un lavoro, sfidando le difficoltà, che la crisi economica porta con sé. Più vado avanti e più mi rendo conto che, comunque, non avrei potuto fare altro. E’ questo quello che voglio fare. Mi spaventa non riuscire a far capire ad alcuni che, anche in un territorio difficile e dimenticato come il Bellunese, è possibile produrre buon vino.

Ama il rock. Cosa mette della sua anima rock nel vino che produce?

Sì, ascolto musica rock e sono il cantante dei RockRocks Unauna Band, un gruppo composto da me e altri miei amici. I RockRocks e la loro musica costituiscono una buona valvola di sfogo, soprattutto dopo una faticosa giornata in vigna. Il rock dà la carica giusta per affrontare le sfide quotidiane con la grinta necessaria. Il mio vino è rock. Eccome, se lo è. E’ l’unico vino prodotto nel territorio dimenticato. Il mio vino esce dagli schemi, perché i nostri vitigni autoctoni non possono essere assimilati a nessun altro vitigno al mondo. E’ rock, perché non ha intenzione di ammorbidirsi e seguire le mode del momento. Vuole perseguire la sua strada e ritrovare la gloria che un tempo lo contraddistingueva.

Marco de Bacco tra vino e rock
Quanto si sente tosto?

Non so se mi si possa definire tosto, ma lavoro per qualcosa in cui credo e non penso sia una cosa che possono permettersi tutti. Le porte in faccia sono state tante. Certo, ho i miei momenti difficili. Come ho detto, la cosa più dura da sopportare è il pregiudizio dei bellunesi. Non sono apprezzato proprio qui, in questo territorio, dove sto faticando e che mi impegno a promuovere in ogni occasione con i miei vini.

Progetti per il futuro?

Credo nello sviluppo di una viticoltura bellunese di qualità. Spero di riuscire a dimostrare a tutti le grandi potenzialità della terra in cui sono nato e, soprattutto, mi auguro di continuare a migliorare i miei prodotti di anno in anno, sperimentando sempre cose nuove.

A chi vorrebbe far assaggiare il suo vino?

A chi è stufo degli stereotipi che ci vengono imposti ogni giorno, a chi vuole uscire dagli schemi, a chi non si ferma ai grandi nomi, ma ricerca prodotti sani e innovativi, che al primo sorso ti fanno sentire il sapore e le sfumature di una terra difficile, la fatica, l’impegno e la passione di chi lavora duramente per riscoprire il gusto di un territorio dimenticato.

   Cinzia Ficco


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