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Marco Lastri, Firenze – Il Duomo

Da Paolorossi

Quando s' incontra una fabbrica di tanta mole, di tanta solidità , e di tant' arte , com' è questa del nostro Duomo, non v'ha bisogno d' interrogare se la Nazione sia stata culta, magnifica , ricca e potente.

Si può dir francamente che un'opera di questa sorte fa onore alla specie umana .

Io mi rappresento, estatico sempre di maraviglia, l'ardire dell'architetto che ne formò la prima idea, e la magnanimità di quei Cittadini, che la promossero e l'eseguirono. Si direbbe che nell'atto di determinarvisi, oltre tutte le difficoltà, obliassero ancora la brevità della vita .

Raccontasi infatti che durasse tal fabbrica, sino al termine della lanterna, per lo spazio di 160 anni; valutate però le interruzioni che vi s' intraposero; ma anco senza verun ritardo, era ben difficile, che quei che la veddero principiare, ne vedessero il compimento.

Nacque una tale idea nel 1294, cioè a dire nel più florido tempo che avesse avuto la Repubblica secondochè avverte il Villani . Questo stato di felicità fece gli animi coraggiosi, ed il Decreto che dice di aver letto il Migliore, n' è una conferma. Ecco le stesse parole:

Atteso che la somma prudenza di un Popolo d' origine grande , sia di procedere negli affari suoi dimodo, che dalle operazioni esteriori si riconosca non meno il savio , che magnanimo suo operare ; si ordina ad Arnolfo capomaestro del nostro Comune , che faccia il modello o disegno della rinnovazione di S. Reparata, con quella più alta e sontuosa magnificenza , che inventar non si possa, ne maggiore, ne più bella dall' industria e poter degli uomini ; secondochè da' più savi di questa Città è stato detto e consigliato in pubblica e privata adunanza, non doversi intraprender le cose del Comune, se il concetto non è , di farle corrispondenti ad un cuore, che vien fatto grandissimo, perché composto dell'animo di più Cittadini uniti insieme in un sol volere . ( Firenze Illustr. pag. 6 )

Non sembr' egli che questo sia il linguaggio del Senato e del popol romano?

Ed è notabile ancora, che nel tempo medesimo che i Fiorentini intraprendevano un tale edilizio, avevano già incaricato lo stesso Arnolfo della costruzione del grandioso Palazzo della Signorìa, delle terze mura della Città , e dell' incrostatura esteriore di marmi al Tempio di S. Giovanni; senza contar le altre fabbriche, a cui la Nazione contribuiva, come tralle altre quella del vastissimo Tempio di S. Croce, di cui diede pure il disegno lo stesso Arnolfo, e molte fabbriche di privati.
[...]

( Marco Lastri, brano tratto da " L'Osservatore Fiorentino sugli edifizj della sua patria " - Tomo Terzo - Firenze presso Gaspero Ricci, 1821 )

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