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Marco Mancassola, una sensibilità in lotta col dolore

Creato il 30 maggio 2011 da Sulromanzo

La vita erotica dei superuominiLa scrittura di Marco Mancassola, fissata in un punto dolente e irrisolto, sembra condannata a lottare col dolore, rifugiandosi in un momento del passato che precede o nega la tragedia, come a voler rivivere il tempo felice nella forma della ripetizione, che ricorda il suo oggetto in avanti, o del ricordo, il cui oggetto è già stato e, dunque, viene ripetuto all’indietro (Søren Kierkegaard, La ripetizione, 1843).

 

La vita erotica dei superuomini (Rizzoli, 2008) rappresenta il tentativo di un’esistenza di ripetere il proprio passato, illudendosi che tale processo possa tranquillizzare.

La storia di Reed Richards assume la modulazione del rimpianto, del desiderio di rendere rivivibile l’esperienza del passato, nel cui ricordo l’ex Mister Fantastic si rifugia per riacquistare pienezza e solidità. Non si tratta di regredire all’età dell’oro, ma di ristabilire uno stato di serenità, gioventù e appagamento; è il desiderio di tornare ad essere l’eroe del passato, il marito della Donna Invisibile.

L’amore per la giovane Elaine diventa il mezzo per ristabilire un contatto col paradiso perduto, in un percorso di ingabbiamento per renderla attrice della messinscena. Riconosce in lei qualcosa che ha già vissuto. L’avrebbe voluta perché la sua pelle splendeva, e nella luce tenue della stanza il suo corpo perdeva i contorni, diventando quasi un bagliore, una forma d’onda, una vibrazione di questa energia (p. 107). Reed vuole che Elaine diventi la Donna Invisibile.

Ma Elaine è giovane, libera e indipendente. Lo sguardo è rivolto al futuro, alla costruzione più che all’iterazione del set di Reed; un set, però, in cui Elaine non può convivere con Franklin, figlio di Reed: la madre non può essere giovane quanto il figlio. L’ostacolo viene superato nella dimensione onirica, in cui Reed assiste al funerale di Franklin (p. 178). Quando questo accade nella realtà, dopo un tentativo di ritorno da Elaine, Reed è costretto a diventare consapevole, perché la vergogna di aver desiderato la morte del figlio alimenta il senso di colpa che restituisce il principio di realtà. Reed si rende conto di aver fallito: la trasposizione del passato nel presente non può accadere nella verità. È a questo punto che il suo respiro cambia e si fa frenetico, e non è un caso che Mancassola abbia introdotto riferimenti espliciti al respiro di Reed solo un attimo prima che si uccida, nel gesto estremo ed esagerato di chi, non potendo abbracciare se stesso in una dimensione di desiderio appagato, per reazione si rivolge al mondo.

 

Non saremo confusi per sempre
In Non saremo confusi per sempre (Einaudi, 2011), invece, c’è l’altro volto del rapporto di Mancassola con il passato: il ricordo, proposto come ricostruzione di eventi già trascorsi in una chiave di negazione dell’epilogo tragico, come possibile scenario di apertura verso un mondo diverso in cui la sofferenza è esorcizzata dal lieto fine. E in questa prospettiva, Alfredino e il giovane Harmer non muoiono ma vengono proiettati in altri mondi, a superare allo stesso modo il trauma per una morte e un omicidio accidentali; Eluana si risveglia a nuova vita, in modo da attenuare sensi di colpa e dubbi in un’atmosfera di insinuata metempsicosi; Giuseppe riemerge dall’acido in un processo di ascensione all’olimpo dei supereroi; Federico è eroicizzato in una dimensione fantasmagorica, quasi a voler mitigare il vuoto di senso in una realtà immaginaria.

Ma se è vero che ognuno di noi è figlio del proprio dolore; se è vero che siamo il frutto del nostro passato, sia come individui che come cittadini, un processo di rimozione, in letteratura, rischia di diventare un pericoloso rifugio nella negazione e nel “se fosse stato” di un happy end.

 

La negazione delle conseguenze di un atto contiene in sé i sintomi della “de-responsabilizzazione” per non aver commesso il fatto. I due aspetti della vicenda non possono convivere: non ci può essere la responsabilità sofferta e dolorosa dell’eutanasia, laddove c’è solo una fuga da maldestri moralisti (Una corsa contro il tempo. Scappa, scappa prima che puoi, prima che riescano a trattenerti altri anni, p. 62); non ci può essere un assassino da condannare, laddove c’è una trasformazione in super-eroe e non una morte; se Harmer è rinato, allora Vittorio Emanuele non è più indicabile come assassino, ma come mezzo per la rinascita, e potrebbe apparire lecito ridurlo a uno che tornò nella sua lussuosa casa di Ginevra e si mise ad aspettare il giorno in cui l’esilio sarebbe finito (p. 14).

Il rischio della negazione della morte negli eventi causati da mano omicida è l’apertura a forme di interpretazione in cui l’assassino è quasi un’inconsapevole pedina di questo superiore processo di passaggio o ascensione, come nell’esegesi della figura di Giuda, il cui scandalo è nella difficoltà ad incasellarlo nel ruolo fisso di traditore.

Qualche recensore, riprendendo la quarta di copertina del libro, ha parlato di ricostruzione fiabesca delle vicende di cronaca. Le fiabe, però, hanno la loro ragion d’essere nel se fosse, non sono una strategia di superamento dello shock. In Cappuccetto Rosso è il “se andassi nel bosco potrei incontrare il lupo, ma anche il cacciatore con cui rinascere a miglior vita” o “se fosse che gli adulti non sono tutti così buoni ma ogni tanto qualcuno appare nonna ma è in realtà un lupo?”. In Cenerentola è il “se provassi a rompere l’ordine sociale che mi vuole serva potrei ancora incontrare il principe e vendicarmi delle sorellastre”. Le fiabe sono incentrate sul desiderio che induce all’azione e ha i prodromi della rivoluzione. Il rifugio nel se fosse stato è una forma di resistenza passiva, una involuzione che non contiene in sé i germi di un cambiamento del presente. La speranza rivolta al passato assume la forma di fuga in una realtà parallela e abbellita in cui si temporeggia nell’attesa che la situazione diventi meno confusa, rifugiandosi entro i contorni morbidi di una commozione di prammatica per il male del mondo. Un invito a delegare alla realtà il compito di cambiarsi da sé, trasformando logge segrete con progetti eversivi, un Papa quasi ammazzato da un attentatore, gente rapita da gruppi terroristici e perfino un terremoto che sette mesi prima aveva scosso una regione del paese, uccidendo migliaia di personein incredibili sventure (p. 19) che etimologicamente rimandano a casi fortuiti dovuti alla mala sorte, per cui ci si sente sollevati dell’onere di trovare i responsabili o almeno di provarci.

 

La consapevolezza drammatica ed intensa de La vita erotica dei superuomini perde vigore in Non saremo confusi per sempre perché Mancassola manca degli elementi fondamentali per il desiderio e l’azione: il confronto con la realtà del presente e il futuro, che rimane il grande assente inascoltato.

Non saremo confusi per sempre conserva una sensibilità rinchiusa in se stessa per paura di aprirsi al mondo così com’è. Questa forma di sensibilità arretra dinanzi al dolore e trasforma un autore in un giocatore di perle di vetro che riproduce la realtà in modo da poterla modellare secondo i nostri sogni (Uwe Tellkamp, La Torre, Bompiani, 2011, p. 1141). Una narrazione tenta di sostituirsi ad un’altra, mentre altrove qualcuno costruisce a suo piacimento la realtà vera.

La ricostruzione abbellita del passato ha la forza di un facile appeal perché fa sentire meglio oggi, perché lenisce rimorsi, colpe e sofferenze con una facile e commovente consolazione, lasciando dimentichi del presente e del futuro, fino a quando non esploderanno e qualcuno chiederà “e tu dov’eri mentre altri costruivano questo futuro?”. Allora bisognerà ammettere “Evitai di riferire che il giorno prima l’avevo vista, sua madre, e che temevo di aver peggiorato le cose. Distolsi lo sguardo” (Non saremo confusi per sempre, p. 61).


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