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Marco Scalabrino: Attriti e compenetrazioni della traduzione

Da Narcyso

Marco Scalabrino, NA FARFALLA MI VASAU LU VASU, CFR 2014
Traduzioni in siciliano da Orazio, Scammacca, Bukowski, Szymborska, Bonventre, Glen, Lee Masters, Freitas, Kunitz, Clements, Snoek, Alfonsi, Russell, Thiers, Thabit Jones, Mac Diarmid, Bacovia, Castillo, Catullo, Garioch.

Marco Scalabrino: Attriti e compenetrazioni della traduzione

Nella sua presentazione, Pietro Carbone ci informa che Marco Scalabrino ha sostanzialmente smontato il testo originale. Lo ha dimenticato e lo ha riscritto nel e con il suo dialetto.
Questo risultato di originalità può giustificarsi anche come conseguenza del fatto che, sia che Scalabrino abbia tradotto direttamente dalla lingua d'origine, sia che abbia adottato, in sottofondo, il tramite dell'italiano, o dell'inglese, trasporre nel dialetto un testo comporta il rischio di non trovare tutte le parole.
Se, in effetti, utilizzando l'italiano si può, al limite, quando se ne senta il bisogno e la necessità, adottare la strategia del ricorso a un vocabolario sostanzialmente denotativo, nel dialetto questo non è possibile. Ridicolo risulta, infatti, adottare la scorciatoia della traduzione letterale di una lingua, il dialetto moderno, in pasto all'annacquamento e all'imbastardimento; (il poeta più consapevole, di questo rischio è stato, a mio avviso, Salvo Basso, il quale, appunto, col dialetto moderno ha instaurato una specie di tenzone tra ironia e tragedia).
Il tramite dell'italiano si sente, per esempio, nelle traduzioni dal latino, per esempio in Catullo, dove avvertiamo l'eco della lingua madre che, per salda costruzione metrica, trapassa nel siciliano senza sbriciolarsi.
E' evidente, comunque, che Scalabrino sia interessato alla forma conchiusa, al rigore della costruzione ritmica; una lingua tonante, da pronunciare a voce alta, e quindi rimbombante nella cavità toracica.
Resta da verificare le motivazioni interiori di questo laboratorio, quanta necessità ci sia di farlo coincidere con una reinvenzione o quanto dipenda, invece, dal tentativo di far "rifiorire" la lingua ospitante, il siciliano. Quanto, cioè, questa sia capace di reggere gli scossoni della trasposizione per ritrovarsi, alla fine, nutrita di impulsi nuovi o in crisi per difetto di forma e vocabolario.
Queste traduzioni parrebbero surrogare la prima ipotesi anche se il pregio maggiore delle traduzioni, indipendentemente dagli esiti, a me sembra quello di illuminare le zone di contatto fra i due mondi, metterne in nuce le differenze o le contiguità.
Questi limiti e possibilità risultano evidenti, per esempio, nella resa del testo di Robert Gerioch, dove il problema maggiore non sembra essere la resa della traduzione in sé ma la trasposizione di un mondo in un altro che non gli appartiene.

Victoria Street a Londra, lu nomu e lu postu appàttanu,
na palestra militari hannoveriana, ncutta a Buckingham Palace,
a li treni chi attraversanu la Manica, a l'autobus pi Edimburgo,
a li spacci pi li sudati e pi li marinara, na ex badia,
na cattedrali, allato a lui Crazy Gang, a Windsor,
a l'Artillery Mansions, nun luntanu pi via d'acqua
di Lambeth Walk, vicinu a lu curiusu campanaru
ntagghiatu di stiddi e strisci ora senza punta,
un truncuni struppiatu di na bumma.
...

Leggendo questi passaggi, è evidente lo stridore tonale di una poesia che si presta ad essere detta a voce alta, e che sembra potersi rendere, piuttosto che nella lettura soggettiva, nel contesto culturale del teatro dei pupi o di uno slang d'oltreoceano utilizzato dal parlato degli emigranti.
Ecco allora, appunto, un faro di senso che illumina una questione di vicinanza e di attrito, e infine di riattribuzione e reinvenzione semantica.

Sebastiano Aglieco

*

Lesbia

di Gaio Valerio Catullo

Campanu, Lesbia mia, e scialami
e di lu sparraciari di li vecchi
facèmuni na frasciàmi d'àrdiri.

Lu jornu di continuu aggiorna e scura
ma pi tia e pi mia c'è sulu na cursa,
sulu una, prima di lu scurrùbbu eternu.

E allura milli vasuni dammi e poi centu
e poi nautri milli e poi nautri centu
e arrè milli e arrè centu.

*

A few on the soul / Qualche parola ncapu a l'anima

di Wislawa Szymbrorska

L'anima nutri ci l'avemu di tantu 'n tantu;

nuddu mai ci l'avi di cuntinuu.

Li jorna e l'anni
ponnu passari comu nenti senza idda.

Di raru ni duna na manu cu li camurrìi:
tipu quannu sturnamu,
quannu semu càrrichi di valigi
o caminamu cu li scarpi
chi ni macirìanu li pedi.

Ci veni lu sustu a vìdirini
nna la fudda trafichiari bazzarioti
abbasta chi ci nesci un sgobbu

E quannu lu ciriveddu ni scoppia
ni saluta e si la scoffa,
pirchì ci abbutta.

Ci putemu fari cuntu
siddu semu chiù confusi chi persuasi
e però la curiosità n'arrùsica

Nun dici mai di unni veni
né quanti e perché si cogghi li pupi,
sutta sutta però spinna chi ci lu dumannanu.

Cuttuttu chissà
pari chi nuautri avemu bisognu d'idda
almenu quantu idda di nuatri.


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