I venti racconti che compongono il libro sono caratterizzati da questo incontro-scontro di Marcovaldo con la modernità di una società che corre verso il progresso con i suoi tempi serrati, le esigenze del mercato e il consumismo che avanza, ma anche dalla dialettica fra le perversioni di un futuro che marcia con foga e l'emersione del bisogno di un ritorno alla bellezza naturale, ad una dimensione dell'esistenza più raccolta e genuina. Questo doppio binario, che mette in comunicazione la fantasia e l'infanzia con la rottura degli equilibri naturali e la mediocrità del mondo adulto, mi fa immaginare un dialogo a distanza con la narrativa di Dino Buzzati, sospesa fra realtà e sogno, come se entrambi gli autori avessero voluto lanciarci un avvertimento.
Vien da chiedersi cosa penserebbe Italo Calvino oggi, di fronte alla globalizzazione e alla smania di acquistare, ma anche di fronte alla crisi attuale, che ha prodotto tanti Marcovaldo, togliendo a molti di loro quella capacità di sognare che per questo personaggio costituisce l'unica via per sottrarsi all'alienazione e al disagio. Impossibile non trovare in questo libricino pubblicato nel 1963 una sorta di profezia del nostro presente, assieme al richiamo dell'umanità alla sua anima infantile, che permette di vedere la bellezza in mezzo al grigiore delle metropoli contemporanee e di un mercato impersonale, eloquentemente simboleggiato dalle gru con le loro mascelle divoratrici.
Si chinò a legarsi le scarpe e guardò meglio: erano funghi, veri funghi, che stavano spuntando proprio nel cuore della città! A Marcovaldo parve che il mondo grigio e misero che lo circondava diventasse tutt’a un tratto generoso di ricchezze nascoste, e che dalla vita ci si potesse ancora aspettare qualcosa, oltre la paga oraria del salario contrattuale, la contingenza, gli assegni famigliari e il caropane.C.M.Articolo originale di Athenae Noctua. Non è consentito ripubblicare, anche solo in parte, questo articolo senza il consenso del suo autore e senza citare la fonte.