E se questa può essere letta come una critica della critica, è anche, a nostro avviso, una quasi inconscia ammissione da parte dell’autrice, un raccontarci il raccontare, lo sviluppo di un’idea in fieri. Quella stessa idea che l’autore nell’autore Tibbs, insieme al suo alter ego ombra, va a cercare dentro se stesso, nei meandri del suo cervello, in un viaggio, dice la Pinna, di “asimoviana memoria.”“Il pubblico deve avere l’illusione che stiamo mettendo in scena un messaggio, che non facciamo teatro per il gusto di fare teatro e basta, due risate e arrivederci alla prossima”.
“Che tipo di messaggio, scusa?”
“Verrà fuori dopo, con calma, alla fine. Sarà il pubblico o qualche critico più illuminato, a decidere cosa abbiamo detto. Magari viene fuori qualcosa che non avevamo neanche pensato, tanto lo so che va sempre a finire così.”
L’entrare e uscire da sé è alla base del personaggio Tibbs, ma anche del protagonista del secondo racconto, Tommaso Probo. Tibbs è alla ricerca dell’idea, ricerca che diventa introspezione per ogni scrittore degno di questo nome. Trovare l’idea finale comporta una lacerazione, un’ulteriore alienazione, l’abbandono della propria creatura narrativa, il ritorno nel mondo. E quel chiedersi se non si stia facendo “solo teatro” è un’interrogarsi della Pinna sul senso stesso della scrittura e della propria esistenza.“E capiamo che quelle porte sono i libri che non abbiamo mai letto, le persone mai conosciute, le idee dimenticate negli angoli più riposti della coscienza. Quelle porte sono le varianti che avremmo potuto vivere, e non siamo mai stati. Sono il destino, il suo acre sapore escatologico, il passato nel presente, sono tutto.”
C’è anche una specie di sorpresa finale, anticipata dal cucchiaino dietetico della maga Gabrina, che mette il racconto ancora sotto un’altra luce, apre un’altra scatolina all’interno delle già tante scatole di significati.Ma non ci concentreremo tanto sul messaggio, quanto sulla potente inventiva della scrittrice. Il racconto inizia con una cosmogonia che crea Floralandia, la terra dove abitano fiori parlanti simili a esseri umani, con tutti i vizi correlati. Onirico e surreale sono termini abusati nel riferirsi a questo testo della Pinna, preferiamo lasciarci cullare, oltre che dalla musicalità acuminata delle parole, anche dalle libere associazioni che il libro ci suscita.La prima è con il giardino dove l’Alice di Lewis Carrol incontra la perfida Regina di Cuori. E se in quel caso si trattava di carte, mentre qui invece di fiori, le immagini mentali sono le stesse. Ancora, sottilmente, ci giungono echi da una poco nota fiaba di Andersen, I fiori della piccola Ida, popolata di tulipani, garofani e margherite che danzano fino a sfinirsi, fino a morire. I funghi, in cui abitano i personaggi di Floralandia, ricordano quelli del mondo dove vaga Alice, ma anche quelli di Verne in “Viaggio al centro della terra.” C’è anche un vago sentore di settecento, fra automi, prismi, specchi, obiettivi, lanterne magiche, meccanismi meravigliosi e fuochi d’artificio già presenti nell’Enciclopedie. Tutto molto visionario, ripetiamo, ma pure visivo, tangibile, aguzzo.Anche il secondo racconto va oltre il messaggio ecologista, oltre l’incubo dei batteri che ci divorano e la malattia che distrugge corpo e mente fino a non poter più distinguere ciò che è vero da ciò che è solo immaginato. Qui, veramente, la narrazione trascende in poesia pura.“Anche se può sembrare banale, in fondo mi dispiace soprattutto per me stesso, per quel senso di sprecato che provo quando mi penso, per quell’avrei potuto fare così e invece ho fatto cosà, come un coglione qualsiasi alla ricerca di non si sa bene che cosa. Si, mi dispiace, per la ferita tra quel che vorrei essere e che invece sono, ferita in cui m’immergo ogni giorno, mi ci faccio il bagno con tutti i vestiti e le scarpe.”
“La notte con la sua zuppa di stelle chiare penetra le ossa.”
“L’odore della salsedine è forte, punge le narici, stordisce come il profumo di una donna irraggiungibile. Mare, mare, mare dappertutto. Una distesa infinita di glabre onde assassine.”