“Mi guardo allo specchio: vedo un fantasma. Pallida sotto una cuffietta di lana. Ma non mi vedo brutta. Prendo i trucchi. Mi trasformo. Fondotinta e terra. Parrucca con le meches. Un bel mascara per distrarsi dalle sopracciglia che non ci sono più. Un rossetto di colore vivace. Crema profumata per le mani screpolate. Un bel cappellino glamour. «Specchio, specchio delle mie brame chi è la più bella del reame?» Sono io. Ma non sono la strega cattiva. La strega è solo in alcune poche cellule. Ma con la cura spariranno. Con la cura la strega viene sconfitta, resta solo Biancaneve”.
E’ così che Maria Grazia Proietti si descrive, mentre cura il suo tumore. Lo fa in un libro, pubblicato di recente da San Paolo, dal titolo: “Mamma, ti posso parlare?”, in cui racconta anche la fatica di dover quasi sempre sorridere con un figlio disabile, ma molto sensibile, che della malattia aveva intuito parecchio.
Maria Grazia, classe ’53, è nata e lavora a Terni. E’ la responsabile della Geriatria dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria. Tempo fa è stata colpita da un carcinoma. E il libro è la storia di una rinascita.
“La mia – specifica l’autrice – e di quella di mio figlio, Matteo, nato con la sindrome di Asperger, una forma particolare di autismo”.
Maria Grazia non ha mai voluto nascondere la verità a Matteo, ma gli ha spiegato quello che le stava succedendo con grande leggerezza. “Per la malattia che ha – dice – basta un rubinetto inceppato per farlo andare in tilt”Così, nel suo percorso verso la guarigione, Maria Grazia si è sempre sforzata di tenere Matteo al suo fianco, senza dargli grandi preoccupazioni.
Ma perché un libro? “L’idea – spiega Maria Grazia – nasce dalla volontà di narrare la speranza, quella che troppe volte diventa lontana, soprattutto quando ci si ammala o si vive con la fragilità di un figlio. L’ho scritto mentre stavo facendo la chemioterapia per una neoplasia della mammella. Mi ero operata, mi stavo curando con la chemio e poi avrei fatto la radioterapia. Accanto a me c’era la mia famiglia, ma avevo anche la preoccupazione di come Matteo avrebbe reagito alla mia malattia, ai miei inevitabili cambiamenti durante le terapie, perché lui teme anche i piccoli capovolgimenti della sua quotidianità.
Non sapevo quale scusa avrei inventato per lui che ha sempre temuto la malattia, la morte. Un giorno gli dissi che mi sarei dovuta sottoporre ad un piccolo intervento: una cisti al seno. Lui mi guardò negli occhi, lui che non ama mai guardare le persone negli occhi e mi disse: ” Non avrai mica un tumore?” Ecco aveva compreso tutto. Così quando venne il tempo della parrucca, lo coinvolsi. La prima volta guardandomi, mi disse: “Mamma, sei uno schianto!”. L’ironia, sì, l’ironia ci ha salvato”.Il titolo del libro, invece, è la frase che Matteo pronuncia quando si rivolge alla mamma per uno spazzolino da buttare, un vestito da indossare. Anche se Matteo dopo il calvario della mamma è diventato più autonomo. Va ora dal barbiere sotto casa da solo a farsi i capelli, ha una borsa lavoro come assistente bibliotecario in una scuola e del suo lavoro è appassionato.
Mara Grazia e suo figlio oggi stanno meglio, vivono senza ansia.
E il futuro?
“Non so quanto ancora vivrò – fa sapere Maria Grazia – Non voglio saperlo. Ho scoperto, però, quanto appassionante sia la vita libera dalla paura di morire. Ho riscoperto il sapore e l’odore del latte con il caffè senza la nausea da chemioterapia. Le pare poco?”Cinzia Ficco