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Marilena Renda: diresti che non è casa …

Da Narcyso
29 novembre 2013

Marilena Renda, RUGGINE, Com Press 2012

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Sono due i libri da accostare, per simile ispirazione e per svolgimento diversissimo, usciti nel 2012: questo Ruggine e Irpinia, di Alfonso Guida.

Stesso tema -  quello di un terremoto epocale -  nel caso di Guida vissuto per testimonianza diretta e in forma di poema senza quasi interruzioni, come un flusso di coscienza potentissimo, scaturito direttamente dagli interstizi della terra e del ricordo; nel caso di Ruggine, invece, evento ricostruito per lacerti di memoria non diretti, ma attraverso la voce di testimoni e ricordi desunti da cronache e cartoline, e dei ruderi  rimasti nel presente; per desiderio di cronaca interiore,  a testimoniare uno sconquasso antropologico e forse metafisico, “A volte mi viene da pensare che Gibellina sia una sorta di esperimento alieno malriuscito”.

Le ruggini descritte in questo libro, dunque, le materie scoscese, sono gli avanzi del presente che a loro modo custodiscono memoria fattasi naturale, destinata, tuttavia,  a disgregarsi: “questa città è un nuovissimo sedimento // che non nasconde nulla a gru e scavatrici, / e non trattiene pietre impolverate, collane / ossidate, cucine corrose, lenti sbeccate, /piatti e quaderni, lavatrici e coltelli. / Acqua di palude, germe di malaria”, p. 55.

La memoria non è stratificata come avviene normalmente, ma corrosa e malata, esposta, per ribaltamento, alla luce del sole e al canto della poesia, almeno.

Gibellina/Gibilterra: due luoghi che per diritto naturale Marilena Renda accosta al senso di un passaggio e di una separazione;  luoghi dello scanto, a dir meglio, cioè della paura del sommovimento, naturale e poi psicologico; anche di una partenza, infine, di una separazione forzata;  natura, in fondo, di una Sicilia che  si culla di ricordi e intanto li cancella, come se il vivere fosse in un altrove che è già stato ma che non si vuole riconsegnare alla storia:  “non vogliamo vivere lontano dai pozzi della luce, / vivere lontano dallo stesso, dalla ronda di faville, / dallo stesso muro e geranio di pietra, / fanale di marce notturne, tigre della memoria, / scenografia di case dirute, tabernacolo assente”, p 59

Sebastiano Aglieco
Brema agosto 2013

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