Lettera aperta
(aperta e condivisa)
… Mentre marciamo, marciamo,
Innumerevoli donne morte
Piangono attraverso il nostro canto,
Il loro antico grido per il pane.
Arte e amore e bellezza
I loro spiriti affaticati conobbero.
Si, è per il pane che lottiamo,
Ma anche per le rose!…
Come direttore artistico del festival “DDT – Diversi Teatri delle Diversità/Diversi Dirompenti Teatri”, ho ricevuto la comunicazione della sospensione del festival internazionale “Porto dei poeti”, nato sei anni fa a Cesenatico, che quest’anno si sarebbe realizzato in diverse città, tra cui Forlì, Cesena, Imola, Urbino e Venezia.
Walter Valeri e Stefano Simoncelli citano tra le suggestioni che hanno motivato negli anni tantissimi poeti a raggiungere Cesenatico per leggere i propri versi, “la cultura poetica diffusa nel nostro territorio che è e dovrebbe essere alla base di una società di donne e uomini liberi”. Poi commentano amaramente che “forse è meglio lasciare definitivamente Cesenatico e la Romagna”, viste le difficoltà di natura organizzativa ed economica, essendo “venuto a mancare quel sostegno minimo delle istituzioni pubbliche e locali che, di fatto, o sono impedite a intervenire, oppure sono paralizzate da fini elettorali o personalistici… Non hanno più cuore né menti decenti, sensibili alla cultura, all’educazione critica per le nuove generazioni, né si peritano di averne.”
Così il festival “DDT” di Imola perderà una delle collaborazioni che lo avevano inorgoglito e la “Poetica giornata” del 1° giugno denuncia allo stato attuale un vuoto che faremo fatica a riempire per la ricchezza dei contenuti della loro proposta, che trae alimento da una lunga esperienza e dal legame con il territorio. Soffermandomi su questa perdita, vorrei sottoporre al mio territorio la questione della caduta per pezzi della cultura e dell’arte, soprattutto quando si tratti di esercizio continuativo di ricerca di espressione, di laboratorio. Coltivare diverse e personali visioni, personali necessità, mantenere un contatto con le emozioni, riconoscere e valorizzare sensibilità soggettive, è esercizio di libertà.
La mentalità corrente e prevalente, alimentandosi di sguardi miopi, di mediocri capacità creative, gestionali, progettuali, svolge il tema della Crisi come cupa e inevitabile tragedia che richiede di scindere il pane dalle rose.
Ma per gli esseri umani le rose sono fondamentali quanto il pane e l’aberrazione è non saperlo più. Così com’è pericoloso non intendere la Crisi anche come opportunità, come apertura, ma vederne soltanto gli aspetti luttuosi, e interpretarla esclusivamente come perdita.
Siamo regrediti a un livello di analfabetizzazione preoccupante senza però che ci si preoccupi, perché il principale effetto dell’ignoranza è proprio quello di non conoscere e così non si può nemmeno ri-conoscere la fondamentale importanza di un’educazione all’arte.
Per quello ci vogliono spazi ancor prima di finanziamenti, ci vuole il rispetto del lavoro degli artisti, ci vogliono progetti di semina costante, ci vogliono teatri aperti tutti i giorni, e botteghe delle arti al chiuso e all’aperto, che ci mantengano critici e creativi. Bisogna coltivare, rimettendo le mani in pasta nell’Umano – come fa l’arte – la fiducia che andare oltre sia possibile, che si possa disegnare di nuovo la mappa delle necessità fondamentali, che non stanno nei modelli proposti da chi ci vuole omologati e schiavi, istruiti al consumo e a poco altro. Specialmente in campagna elettorale rivolgo un appello ai futuri amministratori perché si applichino a queste questioni, possibilmente con pensieri diversi e quindi con parole diverse – e quindi con altre visioni – da quelle espresse nei programmi. Ho notato che nei programmi, ma non solo, spesso la Cultura sta accanto al Turismo, quando ci sta, o chiusa in Musei o in Scuole a pagamento, ben catalogata in Biblioteche, per qualche ora accessibile in Teatri previo comodo abbonamento e non la si ritrova come pratica diffusa, promossa, incentivata, come opportunità magari gratuita – e quindi non selettiva – per ogni persona, soprattutto di studio e di laboratorio, in sperimentazione magari quotidiana e specialmente per gli ultimi, gli esclusi, gli emarginati, gli umiliati, gli offesi dall’abbrutimento in cui siamo immersi, un letame che con determinazione resiliente qualcuno tra gli artisti continua a rivoltare. Non stupisca tanta abnegazione a rovistare nel letame: è solo la consapevolezza ben chiarita da De André che da lì nascono i fiori.
I cuori han fame così come i corpi:
Pane e Rose! Pane e Rose!
Marina Mazzolani
Archiviato in:poesia