Marino Magliani, Il Canale Bracco, Fusta Editore coll. Bassa Stagione, 2015, pp. 127, euro 12,00.
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di Andrea B. Nardi
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Ogni tanto bisogna tornare a Magliani. Come dopo un vino cattivo, uno spumante da poveri del cenone triste cui c’eravamo fatti convincere invece di starcene a casa coi nostri cani: il giorno dopo si ha voglia solo di acqua pulita e fredda, quelle fonti in mezzo ai prati d’alta montagna che mentre bevi senti attorno l’alito del fieno. Magliani è quella fonte; ripulisce via tutto, disseta e sazia, depura ogni nostro errore, riporta in equilibrio le nostre precarie fantasie.
La domanda odiata da ogni scrittore: «un romanzo di che tipo?». La domanda che dovrebbe essere odiata da ogni lettore: «di che parla?».
Un romanzo diventa letteratura solo se non è così codardo da chiudersi dentro un tipo (poliziesco, giallo, rosa, d’avventura, per ragazzi, per adulti, thriller, vegano, senza glutine, pastorizzato o di fantascienza): Anna Karenina che cos’è, un romanzo d’amore? E Raskol’nikov si muoverebbe dentro un legal-noir? Balle.
Magliani infatti lo sa e coraggio ne ha da vendere, così il suo nuovo lavoro è esattamente il meglio che può uscire dalla penna di uno scrittore: non “una storia”, bensì “la storia”. Ovvero non il racconto di un episodio umano, la foto di un istante fermo, il dipinto di una scena. Magliani acquerella la cornice del dipinto, fotografa lo sfondo, racconta la vita, tutta!, non una cosa capitata in essa. Questo suo sereno allontanarsi dall’intreccio, dalla trama, dai dettagli ormai noiosi e insopportabili di ciò che secondo gli editori dovrebbe accadere in “una storia”, gli permette proprio di far emergere “la storia”, l’anima dell’uomo, il paesaggio entro cui è costretto a muoversi, e, siccome siamo creature molto permeabili, il contorno, i posti, la terra entrano in noi, ci si rimescolano dentro, tanto che alla fine ne fuoriesce quel miscuglio di sentimenti, luoghi, strade, pensieri, carattere, debolezze, orizzonti, spiagge, idee, sentieri, poesie, paure, possibilità e fallimenti che altro non è che il nostro brodo, ciò che realmente siamo fino alla fine dei nostri giorni.
Il protagonista percorre a piedi i margini del Canale Noordzeekanaal da cui il Mare del Nord si inietta fino ad Amsterdam. Sono spiagge desolate, selvatiche e post-industriali, in cui incontra cervi e baracche abbandonate, pesci tropicali sconcertati e spaventosi ingranaggi idrici, burrasche di vento e freddo avvilente. Non succede nulla, eppure tutto è completo. Sono pagine che non potete sfogliare con forza, andrebbero in pezzi; frasi da non leggere di fretta, si sgretolerebbero. Non vi verrà da rincorrere la fine come con certi libri brutti che si aggrappano alla suspense: da questo libro non vorrete uscire più, vorreste non finisse mai e vi accompagnasse nelle vostre giornate per mettere un po’ ordine alle confusioni che vi trascinano via. Il protagonista cammina, osserva le cose, sente inquietudini e ironie, non giudica, non agisce, vorrebbe, ne ha i propositi, ma grazie al Cielo poi si perde nelle sue passeggiate solitarie e i suoi occhi diventano i nostri, lungo la frontiera piatta delle terre del Nord, al confine del respiro. È grande, Marino Magliani, quando spreme umorismo dalle cose serie, e poi subito dopo si incanta davanti al dettaglio minimo, partecipando della sua tragicità nascosta. Sempre con grazia, con rispetto, scappando via appena possibile, ché i liguri non amano imporre mai la loro presenza.
«Dal portone aperto tengo d’occhio l’immensità. Il sole ha raccolto gli stracci biondi e se n’è andato. Ha preso a piovere, ma come piove in Olanda, che uno tira su il cappuccio e non ci fa caso».
È un bellissimo romanzo, il miglior Magliani, una letteratura felice.
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