di Ferdinando Cocciolo
E’ destino che il ciclismo debba, soprattutto in quest’ultimo periodo, fare i conti con un passato torbido, oscuro, devastante, che si sta riappropriando, con fortissimo ritardo, di una “verità nascosta“: un sistema organizzato, compiacente, subdolo, andato avanti in offesa del ciclismo “vero“, quello sano, esaltato da imprese, sofferenza e vittorie.
Il ciclismo è lo sport che ha il grande merito di legare, nel mito del sacrificio e della sofferenza, il tifoso con il proprio beniamino. Ed allora, questo “maledetto doping“, che puntualmente colpisce quando meno te lo aspetti, rompe un filo che sembrava indissolubile, montando negli amanti di ciclismo sentimenti di rabbia, sgomento e depressione quasi paragonabili all’atteggiamento di un innammorato lasciato in tronco dalla donna amata. Ma la forza del ciclismo, in ogni caso, è sempre stata quella di saper andare avanti, al di là dei nomi e delle corse, grazie all’entusiasmo della gente, che sulle strade del Giro, del Tour e delle classiche ha sempre sognato valori difficilmente riscontrabili in una vita quotidiana sempre più difficile ed imprevedibile. Sì, imprevedibile, squarciante come tuttto quello che in questi giorni sta accadendo intorno ad uno sport che sta pagando un dazio pesante, immeritato. Il nome di Lance Armstrong è stato ormai cancellato dalla memoria degli appassionati, dei delusi che hanno capito, anche troppo tardi, chi fosse veramente, un uomo senza scrupoli, prestato ad un falso ciclismo ossessionato dalla malattia del doping. Eppure, negli ultimi giorni, il “robot americano” non ci ha lasciato in pace, insistendo in affermazioni tendenti a far capire che “la sua generazione ciclistica e non solo era fatta di dopati“. E’ caduto definitivamente un mito? Alla fine non è che ce ne freghi più di tanto, l’americano, sotto il profilo umano, non è mai andato a genio a chi ha apprezzato l’umiltà e la compostezza di Gianni Bugno, la sapienza e la bontà contadina di Francesco Moser, la serietà invidiabile di Felice Gimondi, l’immagine fascinosa di Mario Cipollini.
Mario Cipollini vince il Mondiale di Zolder 2002 – da http://www.giornalettismo.com
Già, Mario … dicci che non è vero, che stiamo vivendo un incubo, che quel nome in codice, “Maria“, trovato improvvisamente nelle carte di quell’ Operation Puerto che ha già procurato molti danni, non appartiene a te, alla tua storia, a quanto hai fatto per il ciclismo e non solo. Come? Quel doping di cui ti sei sempre dichiarato nemico acerbo, ora compare, come inesorabilmente trapela dal “giornale rosa” del ciclismo, accanto al tuo nome? Quando venerdì sera era già impazzata sul web una notizia che, vera o non vera, non avremmo voluto ascoltare, sembrava di essere su scherzi a parte. Eppure, la Gazzetta dello Sport, a te sempre amica, ha pubblicato notizie, tabelle, dati, al momento precisi ed inequivocabili, che solo tu, a questo punto, puoi smentire e sconfessare. Quanto stanno male i tuoi tifosi, coloro che ti hanno salutato Campione del Mondo a Zolder 2002, a sentir parlare di trasfusioni, Epo ed ormoni.
Quel “maledetto” dottor Fuentes, che già ci aveva tolto di mezzo per due anni Ivan Basso, sembra davvero aver colpito ancora, danneggiando il nostro ciclismo, nel caso specifico quell’indimenticabile 2002 che aveva dato a Supermario vittorie prestigiose nella Sanremo, nella Gand-Wevelgem e, appunto, in quel Mondiale che aveva esaltato il concetto di squadra messo puntualmente ed abilmente in campo dal compianto Franco Ballerini. Già, quel Franco Ballerini che adesso si sente offeso, da lassù, da una notizia che ha dell’incredibile, ma oramai sembra proprio che alle vicende incredibili ci si abitui sempre più.
Noi facciamo un appello a Mario: convincici che si tratta solo di un brutto incubo.