Nato nel 1914 nel borgo di Castello, nell’immediata periferia fiorentina, Mario Luzi è stato, come pochi altri artisti e intellettuali italiani, testimone del secolo breve. Gli anni della formazione li trascorse tra il borgo natio, il paese della Maremma grossetana Samprugnano (poi Semproniano) dov’erano nati entrambi i genitori e Siena, città in cui risiedette alcuni anni, a seguito di un temporaneo trasferimento del padre capostazione. Ristabilitosi a Firenze, portò a compimento gli studi liceali, per poi iscriversi alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università fiorentina, dove si laureò con una tesi sullo scrittore cattolico francese Mauriac. Nel 1935 pubblicò la sua prima raccolta poetica, La barca, e si avvicinò a poeti e intellettuali di ascendenza orfica ed ermetica, come Bigongiari, Bo e Parronchi. In questi anni, oltre ad avviarsi all’insegnamento liceale, frequentò i caffé letterari fiorentini, animati da personalità quali Gadda, Montale e Palazzeschi, e iniziò a collaborare con le principali riviste letterarie della capitale toscana. La prima fase poetica di Luzi, caratterizzata da un ermetismo esistenziale (a cui non furono estranee suggestioni derivate dalla poesia orfica di Campana e Onofri, dal simbolismo criptico e visionario mallarmeano e dai più recenti esiti della nuova poesia europea, da Rilke a Eluard), oltreché da un cristianesimo essenziale ereditato dalla madre e dalla predilezione per l’endecasillabo, venne completata dalle raccolte Avvento notturno (1940), Un brindisi (1946) e Quaderno gotico (1947).
A partire dagli anni ’50, la poesia di Luzi fu attraversata da un’attenzione sempre crescente verso l’osservazione della realtà e dal riaffioramento della propria memoria personale, col conseguente superamento della cripticità ermetica e dell’astrazione concettuale nella diluizione in un fluviale e plurivoco flusso linguistico, volto nella direzione del discorsivo e del prosastico, ma senza perdere l’asciuttezza stilistica che aveva caratterizzato i suoi esordi. Questa tendenza venne rispecchiata dal modo di porsi del poeta in rapporto al mondo, abbandonando l’apparente snobismo intellettuale del periodo ermetico per ricercare un nuovo “patto sociale”, basato su una nuova forma di organicità del poeta e intellettuale nella società, non più prometeica o profetica, ma una più modesta posizione da padre nobile, da fratello maggiore a cui fare riferimento nei momenti di smarrimento. In questo periodo, Luzi pubblicò le raccolte Primizie del deserto (1952), Onore del vero (1957), Il giusto della vita (1960), Nel magma (1962), Dal fondo delle campagne (1965) e Su fondamenti invisibili (1971). Intanto, dopo aver messo su famiglia, dal 1955 iniziò ad insegnare anche all’università di Firenze.
La sua ultima fase poetica venne inaugurata nel 1978 dalla raccolta Al fuoco della controversia che vinse il Premio Viareggio. Nonostante l’avanzare dell’età, la sua attività fu incessante fino agli ultimi giorni della sua lunga esistenza. Anzi, se possibile si infittì, con sempre più frequenti occasioni di interazione pubblica e di incursioni polemiche nell’attualità nazionale ed internazionale. Accanto alle opere strettamente poetiche, come Per il battesimo dei nostri frammenti (1985), Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994) e Sotto specie umana (1999), nell’ultimo periodo Luzi infittì la sua attività saggistica, non esclusivamente letteraria, e la sua ricerca di una parola teatrale capace di rinnovare il senso tragico tra i contemporanei, con drammi in versi quali Ipazia, Hystrio e Felicità turbate (quest’ultimo sul Pontormo) che ebbero delle importanti messe in scena, fino alla esclusiva committenza di Giovanni Paolo II per la Meditazione sulla Via Crucis del 1999. Invano a lungo candidato al Premio Nobel per la Letteratura, pochi mesi prima di morire a 90 anni nel febbraio del 2005, Carlo Azeglio Ciampi lo nominò Senatore a vita, a sancire il suo riuscito tentativo di riportare la condizione del poeta ad un ruolo che gli competa nella società contemporanea.