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Mario Monicelli è stato uno dei padri della commedia all’italiana; in mano sua però, la commedia diventava epica e raccontava dei “poveracci che trascorrono la vita tra fame, stenti e spaventi, e possono rendere grazie a Dio – o a chi per lui – se alla fine dell’avventura li aspetta un piatto di pasta e fagioli, anziché il fuoco nemico”. Certo lo ha fatto sempre con racconti divertenti, aiutato fra l’altro da scrittori come Age & Scarpelli, Benvenuti & De Bernardi, Suso Cecchi D’Amico e lavorando con il meglio degli attori e delle attrici dal dopo guerra ai giorni nostri. Sotto la “crosta” della commedia si nascondeva una visione pessimista del mondo, una lettura quasi darwiniana dei rapporti umani, osservati con lucidità e con un pizzico di sano cinismo: ci sono alcuni film fra i tanti che il regista ha diretto che è impossibile non ricordare per quello che ci hanno lasciato dentro, per quello che ci hanno insegnato e per come hanno rappresentato l’Italia e l’italiano nel mondo.
Intanto Gassman in “Brancaleone alle Crociate”, quando sfida ripetutamente la morte – che era “interpretata”, pochi lo sanno, da Gigi Proietti, coperto dal sudario nero e con la falce in mano – e riesce sempre a sfangarla. Impossibile non ricordare “I soliti ignoti” del 1958 con l’intero cast che di lì a poco diverranno stelle di prima grandezza nel firmamento del cinema non solo di casa nostra; e come non ricordare Alberto Sordi e Vittorio Gassman ne “La grande guerra” in cui erano i due fantaccini fannulloni della prima guerra mondiale, costretti nel finale a diventare eroi loro malgrado, e ad affrontare il piombo del plotone d’esecuzione austriaco. “Quel film contribuì, più di mille saggi, a demolire il mito patriottardo della “grande guerra”, a denunciare come i conflitti siano bagni di sangue a cui politici corrotti e militari imbecilli costringono i poveri cristi, i figli del popolo. È la stessa storia che Monicelli ha raccontato nel suo ultimo film di pochi anni fa, “Le rose del deserto”, fortissimamente voluto per tornare nell’Africa dove era stato da ragazzo (come assistente di Genina nel film di regime Lo squadrone bianco ) e per rinnovare la sua denuncia sulla follia della guerra. Ci sono, poi, tutta una serie di film più che comici, ironici sul nostro agire nazionale, a cominciare da “La ragazza con la pistola” in cui una giovane Monica Vitti viene lanciata come attrice comica oppure “Romanzo popolare” un film che Monicelli amava tantissimo e che spessissimo citava nelle interviste; anche in questo caso con un giovane Michele Placido avviato sulla lucente strada del successo. Più di tutti e tutto però, di Monicelli regista, mi piace ricordare “Il borghese piccolo piccolo” tratto da un libro duro, breve e bellissimo di Vincenzo Cerami. In una delle prime scene, il pensionato-pescatore Sordi ammazzava con una pietra, con grande indifferenza, il pesce che aveva appena catturato. Alla fine del film, riservava lo stesso trattamento al ragazzo che aveva accidentalmente ucciso suo figlio. Come scrisse Ugo Casiraghi la commedia all’italiana diventava tragedia davanti ai nostri occhi, e in un anno non casuale, il 1977. Ma tale mutazione era già avvenuta. In mano a Monicelli erano tutte tragedie, anche quando facevano morir dal ridere.
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