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Qui mi permetto di suggerirLe una considerazione. Se la condivide, potrebbe forse riprenderla in uno dei Suoi interventi. L'euro può soffrire della mancanza di un vero Stato alle sue spalle. Ma avere un vero Stato alle proprie spalle non porta necessariamente una moneta ad essere solida. La lira non era una moneta «strana». Ma era, il più delle volte, una moneta debole, proprio perché rifletteva le caratteristiche dello Stato italiano, dei governi e della Banca d'Italia (sempre autorevole ma, per lunghi periodi, arrendevole) che l'avevano generata. A parte un certo rialzo dei prezzi al momento della sua introduzione, la strana moneta euro, rispetto alla nostrana lira, ci ha portato negli ultimi 12 anni un'inflazione ben più bassa.
Se la Sua diagnosi coglie bene una gracilità di fondo dell'adolescente euro, mi sembra però che Lei la applichi a malanni che, in questo momento, il nostro adolescente non ha. Lei rappresenta un euro in crisi, a seguito di attacchi speculativi e aggiunge: «È proprio per difendere l'euro dall'attacco speculativo che l'Italia sta facendo pesanti sacrifici». Questo no, signor presidente.
L'euro non è in crisi. In questi 12 anni, e ancora attualmente, l'euro non manifesta nessuno dei due sintomi di debolezza di una moneta. È stabile in termini di beni e servizi (bassa inflazione) ed è stabile (qualcuno direbbe, anzi, troppo forte) in termini di cambio con il dollaro. Gli attacchi speculativi ci sono, spesso violenti. Ma non sono attacchi contro l'euro. E non è vero che «risulta problematico collocare i titoli del debito pubblico». Gli attacchi si dirigono contro i titoli di Stato di quei Paesi appartenenti alla zona euro che sono gravati da alto debito pubblico e che hanno seri problemi per quanto riguarda il controllo del disavanzo pubblico o l'incapacità di crescere (e di rendere così sostenibile la loro finanza pubblica) perché non hanno fatto le necessarie riforme strutturali. È questo il caso dell'Italia, dopo che in prima linea si erano trovati la Grecia e altri Paesi. Per questo, da qualche tempo, è diventato problematico collocare i titoli del debito pubblico italiano. E di una cosa, signor presidente, può essere certo: se l'Italia non fosse nella zona euro, emettere titoli italiani in lire sarebbe un'impresa ancora più ardua.
Che l'Italia stia facendo pesanti sacrifici, è vero. Essi sono più pesanti di come sarebbero stati se si fosse ammesso per tempo il problema di una crescita inadeguata. Ma non posso credere che Lei pensi davvero che l'Italia faccia questi sacrifici non per rimettersi in carreggiata e ridare un minimo di speranza ai nostri giovani, ma «per difendere l'euro dall'attacco speculativo». Mentre è vero se mai che la Bce, con risorse comuni, interviene a sostegno dei titoli italiani.
In Europa e nei mercati, affermazioni di questo tipo accrescono i dubbi sulla convinzione e la determinazione del governo italiano. Già due giorni dopo le decisioni di Bruxelles, i titoli italiani hanno fatto fatica a trovare collocamento. Ad ogni rialzo dei tassi, dovuto a scarsa fiducia nell'Italia, Lei finisce per imporre sacrifici ancora maggiori agli italiani. Anche le parole non sorvegliate hanno un costo.
Ma ho una preoccupazione ancora maggiore. Dopo le Sue dichiarazioni sull'euro, Fedele Confalonieri, Suo storico collaboratore, personalità rispettata nel mondo economico, se ne rallegra. Affermando che «l'euro è una moneta strana, che non ha convinto nessuno, Berlusconi ha detto una cosa che pensano tutti; solo che lui lo dice, perché non è ipocrita. E non c'è dubbio che il premier con questa battuta abbia toccato le corde di chi, dai tempi del cambio della lira, ha sempre storto il naso». Questo, secondo vari osservatori, fa ritenere che nella prossima stagione pre-elettorale, ormai non lontana, il tema in questione potrebbe diventare un Suo cavallo di battaglia.
Se questa fosse la prospettiva, e non voglio crederlo, ci avvieremmo ad una fase nella quale i severi provvedimenti che Lei si è impegnato a introdurre non potrebbero essere presentati in modo convincente ai cittadini, né potrebbero essere accettati con maturità, perché sarebbero accompagnati da scetticismo, se non recriminazioni, verso l'Europa. L'Italia non farebbe i passi avanti che le sono indispensabili e potrebbe rivelarsi il ventre molle dell'eurozona, con gravi fratture per l'Europa.
Parlavo, però, di una remota speranza. La Sua diagnosi - la moneta è incompiuta e «strana» senza un governo dell'economia e passi verso l'unione politica - è in linea con la migliore tradizione dell'europeismo italiano. Come Lei, forse con qualche turbamento, ha visto a Bruxelles alcuni giorni fa, il governo economico si sta creando. Ma sarebbe più ordinato, più equilibrato e più orientato alla crescita economica se potesse formarsi con un'Italia che con gli altri, Germania e Francia in primo luogo, concorresse attivamente a plasmarlo. Anziché, come sta avvenendo, con un'Italia costretta ad accettare passivamente forme di governo dell'economia che vengono improvvisate soprattutto allo scopo di «disciplinare» il nostro Paese.
Confido, signor presidente, che prevalga in Lei l'ambizione di riportare l'Italia nel ruolo che le appartiene in Europa, accelerando in silenzio il risanamento, rispetto a quella di un successo elettorale a tutti i costi per la Sua parte politica, ma in un Paese sempre più populista, distaccato dall'Europa e magari visto come responsabile di un fallimento dell'integrazione europea.
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