Ho un amico che ascolta sinfonie di Mozart, Bach, Mahler, Schubert e le sa riconoscere più o meno al volo. Mentre io resto lì, basita e incompetente, a chiedermi chi ne è l’autore e se per caso, forse, l’avessi, casomai, sentita in qualche spot televisivo.
In verità sono troppo esigente con me stessa: a chi importa sapere quanto si può conoscere di musica classica ormai? Questo elemento, come criterio di valutazione nelle relazioni sociali, è scemato nel secolo scorso. Pertanto non dovremmo farci troppi problemi se l’alfabetismo in generale, e soprattutto su certe sonorità, non è considerato. Gli anni novanta oltre al grunge se so portati via pure Beethoven.
Grazie a questo mio amico, dunque, posso assistere a un film di Pasolini o Kubrick come davanti a una costellazione, con lui che mi spiega di chi è questa o quella musica. E lo fa senza saccenza, per cui si è invogliati ad imparare senza frustrazioni. L’esatto opposto di quanto succede nella scuola dell’obbligo. L’obbligo a stare nel gruppo.
Mentre frequentavo le elementari studiavo violino, me lo avevano regalato ad un compleanno sperando che diventassi una promessa. Quando una cosa è già in casa, che sia un padre notaio o uno strumento, sembra quasi automatico, se non diventare “quella cosa”, almeno provarci. A meno che la vita non sia stata così beffarda con te da donarti, come capitò ad un compagno di banco, una mamma infermiera e tutto il suo armamentario di lacci emostatici. Il resto viene da sé.
Tuttavia con il violino non mi esercitavo più di tanto a casa e l’insegnante mi rimproverava il giorno dopo. Avevo il terrore. Un giorno lei, battente bandiera stronza, fermò le mani sul pianoforte, mi guardò intensamente. Io non riuscivo a capire cosa cazzo volesse dirmi. Poi dopo lo scoprii. Sosteneva che io facessi la vittima, ma era solo colpa mia se non studiavo abbastanza.
Io piansi. Lei si sentì in colpa. Io Godei.
Da allora vivo un continuo senso di soggezione nei confronti della musica classica. Non penso di conoscere la maggior parte delle opere, specialmente di compositori tedeschi, e in che momento storico si suddividono. Certo, avrò visto qualche sceneggiato Rai sulla vita di questo o quello, Verdi, Puccini, Rossini, ma alla fine tutti i compositori finivano a mignotte prendendosi la sifilide e la musica restava in secondo piano, così come la mia competenza.
Adesso è diverso. Ho comprato da HugenDubel un cofanetto di 6 cd: “musica classica per idioti”. Dai canti gregoriani a Ravel. Alcune musiche sono così belle da essere davvero strazianti. Ma abbiamo perso il gusto di commuoverci e bisogna sempre aspettare che piova per non farci cogliere in castagna dall’imbarazzo che altri ci vedano. Siamo stupidi automi adoratori di feticci. Per cui sentire alcune composizioni non può che diventare uno shock culturale, come un esorcismo, che riporta alla luce le stratificazioni delle nostre generazioni.
Nel cofanetto c’è anche Gershwin e la sua Rhapsody in Blue e anche la sigla dei “Bellissimi” di rete quattro.
Una signora bavarese, ex pianista, con cui faccio i tandem italiano-tedesco, mi ha invitato ad un concerto alla Konzerthaus di Berlino, in Gendarmenmarkt. Bisogna approfittarne prima che arrivi la fine del mondo, vista la tradizione tedesca e berlinese in materia. Solo così si possono evitare grame figure come quella della mia estetista italiana la quale, mentre mi spennava l’inguine, ascoltava estasiata Allevi in sottofondo dicendo: “Beh, artisti così ve li sognate in Germania”.
Se è vero che non può andare bene qualsiasi considerazione, qualsiasi opinione, qualsiasi persona, altrimenti si diventa un tubo di scarico, è anche vero che lo stesso mio ribrezzo provato dopo quella frase può essere percepito da un’altra persona che ascolta un mio tentativo di teoria su Mozart. Questione di prospettive.
Davanti alla Konzerthaus mi aspetta Jana con una sua amica. In programma c’è una giovane orchestra rumena. L’amica di Jana mi chiede se come straniera sono stata mai discriminata. Il dibattito si fa piccante.
- Si, a volte. Negli uffici pubblici.
- Ah, allora non vale. Anche noi.
Come non vale?!
Seguono silenzi tipici nordeuropei. Posso rilassarmi con loro perché non sono obbligata a parlare parlare parlare, condividere. Sto in silenzio, zitta e muta, salto fuori dal cerchio, dal gruppo, e mi faccio purificare da lui. Solo da lui. Tra tutti lui. Čajkovskij.
a Giovanna F.
Natasha Ceci
Scritto da Natasha Ceci il ago 20 2012. Registrato sotto REALITY BITES, RUBRICHE, TAXI DRIVERS CONSIGLIA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione