Marissa Mayer su Vogue Us
Mayer è protagonista di un'intervista - l'altra molto chiacchierata, di questa settimana - fatta daJacob Weisberg per "September Issue" di Vogue. L'intervista è molto lunga e molto bella, e come spesso accade in queste situazioni, contestata. Non tanto per il merito di quel che Mayer ha raccontato - niente di particolarmente sconvolgente - ma per l'immagine di copertina.Il fotografo Mikael Jansson ha ripreso Marissa Mayer in un posa giudicata troppo sexy, sdraiata a testa in giù in una chaise lounge, con un aderente Michael Kors, capelli sciolti e tacco a spillo: troppo ammiccante per numerose femministe e le critiche sono rimbalzate per la blogosfera e poi arrivate al maistream (piano piano anche qui da noi).
Emma Jacobs si è chiesta sul suo blog per il Financial Times, se esistesse un'equivalente di quella posa per qualche altro Amministratore di sesso maschile. E ha incalzato chiedendosi se per un capo esecutivo, donna, fosse "il caso di farsi fotografare in posizione supina".
Pensiero: c'è un certo modo di essere - non voglio chiamarlo femminismo, neanche nella peggiore delle accezioni, semmai finto-femminismo - molto pigro, pieno di preclusioni e miope.
O donna impegnata, o donna bella. O veline o professoresse. La donna, per essere credibile, non deve usare il proprio corpo. Alienazione della propria fisicità, cancellazione della sessualità implicita.
Sarò banale. Non si riesce - e nel caso è triste pensare che sia una giornalista donna a farlo - ancora ad accettare che davanti a uomini di potere intenti in sport estremi, con in mano trofei di caccia o di pesca, a bordo di bolidi potenti tanto quanto loro, una donna possa anteporre la propria femminilità. Per rispondere alla domanda di Jacob allora: sì, esistono amministratori e potenti nel mondo, che si fanno fotografare in pieno amplesso muscolare, vedi Putin col suo luccio, per dirne uno. Assoluto equivalente, nel senso profondo, di quella canoviana Mayer plasticodinamica.
Il corpo - per altro nel caso in questione assolutamente pudico e in posa di buon gusto, se di questo si vuol parlare - che richiama appunto l'essere donna nel profondo, zefiro femminile che la distingue dall'altro sesso, immagine completamente congrua con quella del macho o l'intrigante gentleman, con cui si tende a rappresentare l'uomo.
Donna femminile, uomo virile.
Rappresentazioni, certo, iconografia forse un po' datata: magari stereotipata, immagini da repertorio, ma libere. È sulla libertà - da preconcetti e pregiudizi - che si gioca la vera partita della parità.
Cosa importa? In un mondo in cui la confezione vale per il prodotto, non ci si può più fermare alla superficie delle cose. Dov'è e cos'è il valore?
E spiace vedere che molto spesso scivolino in questo, con becero e provinciale qualunquismo, puro piacere della polemica, stanca, le donne stesse.
Perché Mayer non vale né più e né meno di quel che vale come manager, sia prima che dopo quella foto. E se è una perdente come l'aveva definita il direttore di Business Insider, Henry Blodget, tale resterà: sia stesa con un bel vestito su una poltrona, che seduta in terra in bermuda di velluto e gambe incrociate a fare il Grande Cerchio.
(a questo post ha collaborato @danibeep)