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Marlene Dietrich nasce a cavallo di una sedia, in un fumoso cabaret, calze nere, giarrettiere, ciglia finte, cilindro, voce roca e lunghe gambe simbolo di una seduzione che sa di sensualità perversa. È Lola Lola, protagonista de L'Angelo Azzurro, più che una donna una femmina. La sua immagine di donna spezzata, dove i sogni si spengono e resta soltanto l'erotismo, farà il giro del mondo. Lola Lola ha un corpo da sgualdrina insolente e una voce allusiva a qualcosa di intimo e proibito. Poi c'è Marocco, il suo primo film americano, dove Marlene veste da uomo e ammalia uomini e donne. Aria sfrontata, sguardo torbido, cigarillo tra le labbra vermiglie, voce arrochita che evoca perdizioni, la bionda in frac entra nello star system americano. Prima con Sternberg, poi con i grandi registi di Hollywood batte la pista del successo e della fama. Marlene evolve nel ruolo di avventuriera seducente e misteriosa, amante ma anche amica, troppo ironica per essere solo sexy, troppo sexy per essere solo una compagna d'avventura. Gioca su elementi sicuramente vincenti: la bellezza delle gambe, di incredibile purezza, una cascata bionda di capelli a coprire il volto pallido e cinico, gli occhi semichiusi che guardano lontano, la testa leggermente rovesciata, promessa di seduzione, minaccia di abbandono, carnalità ed eterea sensualità. Passano gli anni ma non ne intaccano il fascino. Negli anni Sessanta Marlene entra nell'età che per un'altra si chiamerebbe vecchiaia. Lascia il cinema e canta con la voce sempre più roca incrinata da accenti di ammiccante autoironia, quella voce, come dice Hemingway, “che può spezzare il cuore”. Continua a esibirsi a Parigi, a Las Vegas, a Londra, a New York, con le ciglia finte, la bocca stretta, l'abito bianco attillato con le paillette, la pelliccia di volpe, sempre più glaciale, più simbolica, spettro di qualcosa che non esiste più. Sopravvive al divismo restando diva, e da diva abbandona il palcoscenico nel 1976 ritirandosi nella gelosa solitudine della sua casa di Parigi. Vive i lunghi giorni e le notti insonni di ogni vita che tramonta. È immobile e dolente come un quadro vivo. Non è più lei, le mani magre e nodose, la voce da camera da letto, gli occhi dilatati, le rughe a raggiera, il potere seduttivo che ormai si è spento. Non ha ricordi, non vuole averne e i rimorsi le sembrano la cosa più inutile del mondo. Se ne va il 6 maggio 1992, a novantuno anni. La causa della morte non sarà mai precisata. Anni dopo la sua segretaria-amica Norma Bosquet darà la sua verità, che forse è la verità. “Un'overdose di sonniferi” è la sua testimonianza. E con la vita, quel giorno se ne è andata l'angoscia.
Era “la più bella delle berlinesi”. Nei tempi d'oro diceva: “Dalla testa ai piedi, solo l'amore è la mia regola”. Nella vita ha amato molto. Il suo dossier di amanti di entrambi i sessi è imponente (da Stenberg a Remarque, da Brinner a Sinatra, da Douglas alla Piaf, d Cooper a Welles, da Vallone a Bacharach). Solo quattro, si dice, ne amò davvero: il marito Rudolf Steiber (1), relegato rapidamente, però, al ruolo di coniuge bianco; Sternberg, l'uomo che definì “sessualmente insaziabile” e capace di “tenerla al guinzaglio come un cane”, il regista che creò la sua immagine di diva e a cui Marlene donò una foto con dedica: “A lui che mi ha creato, la sua creatura”; Remarque, dalla ambigua sessualità, di cui per anni fu la musa adorata; e Jean Gabin, la passione più rovente, “contadino, rozzo, inelegante eppure irresistibilmente attraente”. Ebbe rare amicizie profonde (da Cocteau a Dalì, a Hemingway, che si innamorò perdutamente di lei, non ricambiato). Fu una donna complessa che, come disse Remarque, “non dava nulla e quindi avrebbe potuto dare tutto”: “Il suo nome – disse Cocteau – è per metà una carezza e per metà un colpo di scudiscio”. Seduttrice impietosa, capace di annientare un uomo o di portarlo in paradiso, Marlene è stata un sogno dolce-amore ed è diventata una leggenda. Ha fatto dire a Hemingway: “E' la donna che più di ogni altra ne sa dell'amore”. È stata di molti, generosa del proprio corpo, ma ha riassunto se stessa e la propria vita in una battuta: “Non so a chi appartengo, anzi appartengo tutta soltanto a me stessa”. Amava dire “Gli angeli non muoiono mai”. È morta disperata, come da copione per chi è stato grande.da "Fascino - Seduttrici e seduttori del Novecento" di Erica Roddolo e Marco Innocenti, Ugo Mursia Editore (2)Note1) Con Steiber si sposò giovanissima, a Berlino. Da Steiber ebbe la sua unica figlia. Figura da approfondire recuperando il libro "Marlene Dietrich, mia madre", pubblicato in Italia da Sperling&Kupfer. Leggi l'articolo del Corriere della Sera: "Mia madre Marlene, una regina senza identità" (2001).2) Tecnicamente il testo di questo post non è una "citazione" classica di un brano da un libro. Ho messo insieme pezzi del capitolo sulla Dietrich, riscrivendo pure qualcosina, per motivi di spazio e di leggibilità e perchè mi andava di fare così. Cioè, praticamente ho fatto una sorta di editing a un testo già pubblicato. Che maledetta presunzione, Dio Mio. 3)Tutte le foto di Marlene su Pinterest4) Fotogallery "cinematografica" su Sky Cinema. 5) Da visitare il sito ufficiale di Marlene Dietrich.