Marò: tra Verità, Giustizia e dignità nazionale

Creato il 26 giugno 2013 da Societydoesntexist

Storia di ingerenza diplomatica e alterazione mediatica causata dal prestigio delle armi.

Dall'ottica indiana

Il 15 febbraio 2012 è la data che segna l’inizio di una diatriba internazionale che tanto ha fatto parlare i nostri giornali. Il contenzioso diplomatico vede schierati i funzionari italiani contro quelli indiani. Da entrambi i fronti, si registra una scarsa intenzione a collaborare con la controparte.Tutto è quindi cominciato il 15 febbraio 2012, quando dalla petroliera italiana Enrica Lexie, in quel momento al largo della costa del Kerala (India sud-occidentale), parte la raffica di colpi che metterà fine alla vita di Ajesh Pinky e Selestian Valentine, pescatori indiani, rispettivamente di 25 e 45 anni.

I risvolti del caso oramai li conosciamo tutti: l’erronea valutazione della minaccia corsara-peschereccia, i difficili esami balistici, la pseudo perizia del finto ingegnere targato Casapound, il giallo sui fucili utilizzati, eccetera.

Pochi sanno, tuttavia, che il caso è stato inizialmente portato all’attenzione nazionale proprio dal controverso movimento che prende il nome di CasaPound (lo stesso che suggerì poi un intervento militare italiano in India) il quale più volte nel marzo 2012 manifestò sotto l’altare della patria sito a Roma “per chiedere a gran voce le dimissioni del governo tecnico, incapace di gestire la questione della detenzione dei marò, e per denunciare l'oltraggio arrecato all'Italia da parte dell'India”. Paradossalmente sarà proprio quel governo tecnico a dare risalto all’evento. L’allora ministro degli Affari Esteri Giulio Terzi fece del caso Marò il proprio cavallo di battaglia, conquistando in breve tempo la simpatia di molti e concentrando sulla vicenda, proprio durante la rovente escalation della crisi siriana, tutto il lavoro diplomatico italiano. L’onorevole La Russa non sarebbe stato da meno, il caso Marò sarebbe diventato per lui la scusante per una campagna mirante a intensificare gl’investimenti nella sicurezza e nella Difesa del Paese. Da questa serie di coincidenze fortuite sarebbe partito il grande eco mediatico che permane tutt’oggi.

Ciò nonostante, ad oggi è stata fatta poca luce sul caso. L’Italia si è dimostrata più interessata a far rimpatriare i due marinai più che preoccuparsi di collaborare con l’India al fine di scoprire la verità.

In un’intervista andata in onda sul canale La7, l’ex ministro Giulio Terzi ha dichiarato: “Nessuno sa, ad oggi, con ragionevole certezza, chi siano i due responsabili” – è allora lecito chiedersi se consapevole di questo la governance italiana possa permettersi di montare pressione ai funzionari indiani per il rilascio e il successivo rimpatrio di Latorre e Girone. E’ forse meglio aspettare, pazientare, essere cooperativi.

Eppure la macchina mediatica è stata messa in moto, e adesso è questa a premere contro i nostri politici costringendoli  a procedere verso l’obiettivo diplomatico: riportare i compatrioti a casa, sani e salvi. I cittadini italiani sono davanti ai Tg in attesa di risposte e di storie di salvezza, proprio come facevano gli americani nel caso Amanda Knox, per tanti di noi colpevole, per tanti di loro assolutamente innocente.

In conclusione, il motivo di tanto interesse al caso dei Marò è forse pure da vedere nella nostra tendenza belligerante, per quanto poi indefinita essa sia. Non calcoliamo forse il nostro prestigio nazionale in corrispondenza a quanti bossoli può contenere il caricatore made in Italy? Se così non è, si spieghi perché, solo per esempio, i cooperanti internazionali italiani rapiti all’estero non godono del medesimo rilievo mediatico che è stato invece dato ai due Marò. Se da un lato c’è la società civile e diplomatica che “combatte” con i documenti alla mano, facendosi portavoce dei diritti umani, dall’altro si trova il più antico mestiere delle armi, e gli italiani antepongono quest’ultimo a tutto il resto. Forse ché, in Italia, è più rilevante la spada della penna?

C’è da rifletterci.



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