Per parlare, leggere e scrivere, i marocchini si devono confrontare, dalla più tenera età, a diverse lingue. Questa ricchezza è una benedizione? Questo si chiede Fouad Laroui , giornalista e sociologo esperto, nel suo ultimo libro . Missione difficile e coraggiosa quella dell’autore che rasenta a volte un eccesso di fantasia ironica. Il libro vuole spiegare la ragione delle carenze in termini di scolarità e di alfabetizzazione, che piazzano il Marocco molto lontano dai paesi con uno sviluppo economico /sociale degno di nota. Pensate la difficoltà che devono incontrare, sin dalla più tenera età, i marocchini alle prese con la lingua: arabo dialettale, arabo letterario, francese ed eventualmente inglese. In primis i marocchini si esprimono nella loro lingua madre: la darija (arabo dialettale), a volte il berbero in una delle sue varianti (tamazigh, tarifit o tachelhit). Lingue parlate, evolute e vive, che servono ad esprimere le emozioni ma che sono raramente scritte. Segue l’apprendimento della scrittura. E qui succede il patatrak! Gli allievi devono studiare l’arabo classico, che si scrive ma non si parla, scolpito nei sacri marmi del Corano. Una lingua sacra dunque e anche “una sacralità definita intellettuale“. Sovrabbondanza lessicale, assenza di vocali (il lettore deve sistemare da solo le vocali, quindi conoscere le parole prima di riconoscerle), assenza di maiuscole (fonte di confusione neilla lettura dei nomi propri)… Conclusione: nelle lingue occidentali si legge per comprendere, nell’arabo classico bisogna comprendere per poter leggere. Ci si chiede come utilizzarlo nella vita quotidiana tenendo conto che non ha subito evoluzioni dall’Età d’Oro” (IX° – XII° secolo), diventando cosi’ artificiale e penosa da esprimersi nella vita. Non va meglio per l’arabo moderno, in vigore notoriamente nella carta stampata, che anzichè semplificare, presenta le stesse difficoltà grammaticali e si mostra reticente alla nomenclatura scientifica. Arabo letterale scritto da un lato, arabo dialettale (darija) parlato dall’altra: una piena diglossia. Secondo il giornalista nessuno vuole vedere “l”elefante nella stanza”, un problema pachidermico che ha come soluzione immediata quella di occultarne l’esistenza e vedere cosi risolto il problema usando la lingua francese! Che siano marocchini, algerini o libanesi, scrivono quotidianamente nella lingua coloniale perchè è impossibile scrivere in dialetto o nella lingua dei sapienti (arabo classico). Affrontare la realtà per sormontare questa diglossia, questa schizzofrenia linguistica che è fonte di tanti abbandoni nella scuola pubblica. È possibile promuovere la scrittura dei dialetti? Questo suppone che una generazione di scrittori sarà sacrificata e che il panarabismo accetterebbe di tagliare il cordone ombelicale che lega il mondo arabo. Ma si sa, gli uomini sono a volte tenacemente incollati ai loro sogni piuttosto che pronti ad affrontare la realtà…
Credits: Jeuneafrique