Il Marocco mi frullava in testa da più di un anno. Ogni qualvolta mi balenava in testa di fare il biglietto aereo per Marrakech dovevo fermarmi. Mi mancava il passaporto! Fino a quel momento avevo viaggiato solo per l’Europa e va da sé che non ne avevo mai avuto bisogno.
Avevo letto su qualche sito che esiste una procedura ufficiosa per cui è teoricamente possibile raggiungere il Marocco con la sola carta d’identità, ovviamente valida per l’espatrio; ne avevo parlato con il mio ragazzo, ma né io né lui sentivamo che questa sarebbe stata la scelta giusta. E se ci avessero bloccato all’aeroporto e rispediti a casa? No. Non valeva davvero la pena rischiare. Perché rimandare poi la decisione di fare finalmente il passaporto? Io, scaramantica per natura, pensavo addirittura che il passaporto ci sarebbe stato di buon auspicio per la pianificazione di futuri viaggi, in Paesi sempre più lontani e che così il nostro sogno di viaggiare per il mondo si sarebbe concretizzato.
Col passaporto tra le mani abbiamo fatto il biglietto e, felici come due bambini ai quali è stato appena regalato un giocattolo nuovo, la settimana dopo eravamo nella città forse più famosa e più brulicante del Nord Africa.
Ci aspettava all’aeroporto la navetta del Jnane Allia, il riad che avevamo scelto per il nostro soggiorno. Era nostro desiderio alloggiare alle porte della città, in una struttura che rispettasse l’architettura tradizionale e che ci consentisse, la sera, di rifugiarci nel silenzio delle valli che circondano Marrakech.
Una volta arrivati là, era sera ormai, ci siamo guardati intorno e abbiamo deciso di goderci un lungo momento di relax. Sapevamo che i giorni successivi sarebbero stati una full immersion tra i mille rumori, colori e sapori di Marrakech.
Avevamo deciso di goderci appieno i pochi giorni, quattro appena, che ci eravamo concessi per scappare dalle nostre realtà e aprire la testa! Per noi quel viaggio rappresentava una boccata d’ossigeno e devo dire che nessuna delle nostre aspettative è stata disattesa.
Camminavamo per le rumorosissime strade della “Città Rossa” – questo è il soprannome di Marrakech – e qualsiasi cosa attirava la nostra attenzione. Quando però siamo tornati a casa e, confrontandoci, abbiamo tirato le somme, ci siamo resi conto che, al di fuori dei monumenti, 3 erano le cose che avevano realmente colpito entrambi:
I Giardini Majorelle
Un ricchissimo orto botanico nel cuore della città nuova, indissolubilmente legato al nome di Yves Saint Laurent, che lo acquistò nel 1980 insieme al compagno Pierre Bergè, appassionato di botanica, il quale contribuì ad arricchire la grande varietà di piante già esistenti. Curiosità: le ceneri del celeberrimo stilista, deceduto a Parigi nel 1972 e il cui anniversario ricorre il 1 giugno, sono state sparse in un’area di questo stesso giardino che, come il buon senso comanda, è chiusa al pubblico.
L’ escursione a cavallo
Seppure inesperti, abbiamo programmato con l’insegnante di equitazione del riad un’escursione a cavallo. Siamo stati fuori mezza giornata, visitando così i dintorni, tra cui la famosa palmerie che tutte le guide segnalano, in sella ad un bellissimo esemplare di razza arabo-berbera. Non ho paura di affermare che le emozioni vissute nell’arco di quella mattinata sono state uniche e che riuscire a trasmetterle risulta quasi impossibile.
La tintura dei tessuti
Il souk Sebbaghine, o souk dei tintori, è, a mio parere, il souk più suggestivo di Marrakech. La grande quantità di matasse di lana colorate esposte al sole ad essicare sono uno spettacolo assolutamente pittoresco e un patrimonio da preservare. I tintori marocchini che utilizzano il metodo di tintura tradizionale sono infatti in via d’estinzione a motivo della concorrenza spietata di chi, ormai, ha scelto di utilizzare i coloranti industriali che, seppur non in grado di rendere le stesse sfumature di colore, semplificano e velocizzano il lavoro.
Il souk dei tintori è stato, ai nostri occhi, una perfetta metafora del Marocco: Paese che si proietta verso l’occidente e che lotta per mantenere vivi tradizioni, usi e costumi che costituiscono un patrimonio millenario che vale certo la pena preservare.