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Marriageableness, ovvero: il grande equivoco austeniano

Creato il 27 aprile 2012 da Lizzys @lizzysylvia66
Marriageableness, ovvero: il grande equivoco austenianoIl luogo comune che trovo più fastidioso a proposito di Jane Austen è quello che considera i suoi romanzi e le sue eroine come una gigantesca macchina da guerra in crinoline mossa verso l'unico obiettivo finale: il matrimonio.Da questo, credo, conseguono tutti gli altri – provando a metterli insieme: sono romanzi da brave ragazze, con figure femminili antifemministe, il cui unico pensiero è la ricerca del principe azzurro, bello e ricco; ergo, romanzo rosa; cioè roba da donne, anzi, donnicciole in preda ai fumi del romanticismo più melenso e sfrenato, in breve una noia insostenibile se non addirittura dannosa.Ma, di certo, quello più forte di tutti è appunto il matrimonio come unica carriera femminile possibile - come se le nozze finali dei romanzi austeniani fossero l'unico elemento narrativo importante e non una logica conseguenza di un lungo, avvincente ragionamento in forma di romanzo.
Leggendo uno dei libri che spesso amo citare nelle mie chiacchierate - Jane Austen,  di Tony Tanner, raccolta di saggi che questo studioso e critico ha scritto sui romanzi canonici austeniani - ho trovato la citazione di un brano che si può considerare l'emblema di questo colossale equivoco.
E' opera di un'illustre e discussa figura culturale dell'800, il filosofo statunitense Ralph Waldo Emerson (1803-1882), che fu anche saggista e poeta. E che qui è uno dei detrattori di Jane Austen più feroci che mi sia mai capitato d'incontrare.

Marriageableness, ovvero: il grande equivoco austeniano

Ralph Waldo Emerson


Il perno della sua critica è un concetto molto preciso: marriageableness.È una parola difficilmente rintracciabile nei dizionari, derivata dall'aggettivo marriageable (in età da matrimonio, anzi, “da marito”, poiché è quasi sempre a proposito di una donna che si usa questa locuzione – il che mi pare assai eloquente...).
In alcune traduzioni italiane, è stato reso con "propensione al matrimonio", ma mi piacerebbe conservare la forza di impatto del termine e tradurre questo raro neologismo con un altro neologismo, matrimoniabilità. Ma per capire meglio, ecco il brano in cui Emerson ne parla:
I am at a loss to understand why people hold Miss Austen's novels at so high a rate, which seem to me vulgar in tone, sterile in artistic invention, imprisoned in the wretched conventions of English society, without genius, wit, or knowledge of the world. Never was life so pinched and narrow. The one problem in the mind of the writer in both the stories I have read, Persuasion and Pride and Prejudice, is marriageableness.All that interests in any charachter introduced is still this one: Has he (or she) the money to marry with, and conditions conforming? 'Tis the “nympholepsy of a fond despair”, say, rather, of an English boarding-house. Suicide is more respectable.Non riesco a capire perché la gente abbia una così alta opinione dei romanzi di Miss Austen . Mi sembrano volgari nel tono, sterili nell'invenzione artistica, imprigionati nelle meschine convenzioni della società inglese, senza genio, spirito o conoscenza del mondo. Mai la vita è stata così tirata e ristretta. L'unico problema nella mente della scrittrice in entrambe le storie che ho letto, "Pesuasione" e "Orgoglio e Pregiudizio", è la "matrimoniabilità".Tutto ciò che interessa in qualunque personaggio venga introdotto è ancora questo: egli (o ella) ha il denaro con cui sposarsi, e condizioni adeguate? È la "ninfolessia di una disperazione appassionata"*, cioè, meglio, di una pensione. Il suicidio è più rispettabile. (Raph Waldo Emerson, Selected Journals:1841-1877 - 1861 - la traduzione è mia)
*N.d.T: la "ninfolessia di una disperazione appassionata" è una citazione dal poema Childe Harold's Pilgrimage di G. Byron - ninfolessia: coloro che vedono una ninfa resterebbero affascinati dalla sua immagine per il resto della loro vita, e tormentati da un ideale irraggiungibile
Il termine indicherebbe, secondo me, quanto una persona sia idonea ad essere sposata, secondo criteri ispirati dalla cultura sociale dominante.
I romanzi austeniani sarebbero, dunque, frutto di questo retropensiero dell'autrice. Un chiodo fisso, insomma.

Marriageableness, ovvero: il grande equivoco austeniano

Una splendida Jane Austen: Olivia Williams in Miss Austen Regrets, BBC, 2007


Quando lessi questo brano la prima volta, mi venne subito in mente una prova schiacciante della sua assurdità: i romanzi di Jane Austen pullulano di pessimi esempi di coppie sposate, estremamente funzionali a demolire qualunque accettabilità del matrimonio soprattutto da parte delle eroine.La più famosa ed evidente, praticamente un modello sociologico, è forse quella formata da Mr e Mrs Bennet, in Pride and Prejudice.

Marriageableness, ovvero: il grande equivoco austeniano

I coniugi Bennet in Pride and Prejudice, BBC, 1995


Ma basta spostarsi un poco più in là per trovare, senza troppo sforzo, una bella passerella variopinta: Mr e Mrs John Dashwood, Lord e Lady Middleton, Mr e Mrs Palmer; e ancora, Mr e Mrs Collins, Sir Thomas e Lady Bertram (e non ci stupisce la coppia che la loro figlia più grande, Maria, formerà con Mr Rushworth) e Mr e Mrs Norris (ci basta conoscere Mrs Norris per avere delle assolute certezze sul loro ménage); infine, gli ineffabili Mr e Mrs Elton. E non fatichiamo ad immaginare quale esempio terribile potesse essere la coppia formata da Sir Elliot e la sua defunta (di certo infelice) moglie.

Marriageableness, ovvero: il grande equivoco austeniano

I coniugi John e Fanny Dashwood in Sense and Sensibility, di Ang Lee, 1995


Queste coppie esprimono bene la prigione sociale in cui sono costretti tutti, uomini e donne, dando vita a connubi infelicissimi.Ma con una differenza sostanziale: gli uomini, infatti, come ci insegna Jane per voce di Anne Elliot, hanno l’approvazione sociale ad impegnarsi in varie attività al di fuori della famiglia e del matrimonio e fuggire dalla prigione in cui invece le donne continuano ad essere condannate senza speranza.Proprio queste pessime coppie diventano, nel contesto austeniano, un monito potente. Come può l'eroina essere socialmente accettabile ma evitare un esito del genere, inaccettabile per se stessa?
La questione è quanto mai ardua: chi non si sposa rischia di diventare una reietta.Non è tanto una questione morale: è innanzitutto pratica.Senza un marito, in una società in cui la donna ha un ruolo smaccatamente gregario e le donne lavoratrici sono solo quelle che appartengono al ceto più basso, la donna non sposata non può avere né denaro né protezione (e per questo vive sulle spalle dei parenti maschi più prossimi, nella migliore delle ipotesi, come accadde alla stessa Jane Austen).
Pensiamo a Charlotte Lucas (e presto ne parleremo più approfonditamente): ormai data per irrimediabilmente zitella, accetta il primo matrimonio che le capita in sorte pur di non essere un peso per i genitori e per se stessa.

Marriageableness, ovvero: il grande equivoco austeniano

Claudie Blakely come Charlotte Lucas, Pride and Prejudice, Joe Wright, 2005

Non è un caso che una recente manipolazione letteraria l'abbia  trasformata, assai opportunamente, in una morta-vivente (in Orgoglio e Pregiudizio e Zombie). Non sposarsi significava morire socialmente, sì, ma sposarsi a queste condizioni, in fondo, significava proprio morire nell'animo, uccidere la propria individualità.
Grazie all'esempio delle pessime coppie austeniane nonché alla propria vigile autocoscienza, le nostre eroine riescono a sostenere il proprio diritto di scegliere un destino diverso.

Marriageableness, ovvero: il grande equivoco austeniano

Mr. Darcy e Elizabeth in Pride and Prejudice, Joe Wright, 2005

...in breve, di sovvertire la marriageableness incondizionata di cui parla Emerson e sposarsi, sì, e con buoni partiti, ma solo alle proprie condizioni.Cioè: innanzitutto come affermazione di sé. E in secondo luogo, anche come trasformazione e crescita della società, perché esse non si arrendono allo schema, semmai lo rinnovano.
Non ci è dato sapere che cosa accade da quel momento in poi perché i romanzi di Jane Austen si fermano lì. Ma solo apparentemente.In realtà, Jane ce lo ha già raccontato perché proprio grazie all'intero romanzo sappiamo che quel matrimonio è fondato su ottime premesse. Nessuna coercizione, nessun sacrificio, ma una scelta consapevole e condivisa.Darcy ed Elizabeth non saranno mai, neppure lontanamente, e nemmeno dopo 100 anni di vita insieme, simili ai coniugi Bennet!
Un'ultima dimostrazione dell'infondatezza della marriageableness secondo Emerson (che mi piace definire, appunto, incondizionata), e quindi del "grande equivoco austeniano", esula dai romanzi.Questa marriageableness di tipo austeniano, cioè condizionata, è ciò che  Jane ha di certo desiderato per sé ma non ha potuto realizzare.A ventisette anni, preferì restare sola, sobbarcandosi tutto il peso sociale che ciò comportava, dicendo di no ad una proposta allettante ed impossibile da rifiutare, quella del ricco Harris Bigg-Wither. Non sapremo mai perché gli disse di sì, dapprima, e, dopo una sola notte, si rimangiò la parola. Ma i motivi dovettero essere gravi, insuperabili, di certo legati alla propria netta percezione di sé.La realtà purtroppo è sempre un po' più dura della fantasia. Ma se c'è qualcosa che Jane ci insegna è proprio questo: non dare mai nulla per scontato, non arrendersi mai ed avere sempre piena coscienza di sé.
Scusate le lunghe chiacchiere... Il prossimo tè delle cinque sarà dedicato ad un personaggio che ha un posto speciale nel mio cuore perché è l'emblema tragico della gabbia sociale del matrimonio e della condizione femminile: Charlotte Lucas.
Link Utili:- la storia del grande rifiuto di Jane Austen a Harris Bigg-Wither: Ventisette, come gli anni di jane Austen quando disse no- la recensione di Orgoglio pregiudizio e zombie, mash-up di Seth Grahame-Smith- biografia di Ralph Waldo Emerson su Wikipedia IT e Wikipedia EN

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