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Martin Eden: l’Eden perduto

Creato il 22 febbraio 2013 da Serenagobbo @SerenaGobbo

Martin Eden: l’Eden perduto
Primo romanzo che leggo di Jack London.
Vito Amoruso, nell’introduzione alla mia edizione de La Biblioteca Dell’Espresso, lo definisce (e forse ha ragione lui, che di sicuro se ne intende più di me), un romanzo ottocentesco. Vero, come spiegherò nell’articolo su Sololibri.net abbiamo una voce narrante onnisciente, i pensieri dei protagonisti te li spiega lui, non te li lascia intuire in modo frammentato da un gesto o da un dialogo – come probabilmente sono davvero frammentati i nostri pensieri, come ci insegnano la Woolf e Joyce.
Ma a me capita, ogni tanto, di copiare parti di romanzi. L’ho fatto anche con questo, ma vi ho apportato una variante: l’ho messo al presente. Via l’ottocentesco passato remoto, via i fatti cristallizzati nel dejà fait: tutto trasposto nel divenire di un tempo che stiamo osservando adesso.
Provateci: London ci descrive i pensieri dei protagonisti scavando meglio di una talpa. Si va nel profondo di qualcuno. Lo si può fare nello stesso modo se si interpreta un gesto o un discorso? Avanti: lo facciamo tutti i giorni: ci troviamo davanti a gente che muove le mani e che parla (anche troppo!) eppure mai e poi mai possiamo dire di essere scesi dentro quella persona.
Magari è un’illusione. Magari i pensieri di Martin Eden o di Ruth Morse non sarebbero così lineari se appartenessero a una persona reale. Ma, forza, per una volta, illudiamoci pure di conoscere qualcuno, anche se questo qualcuno è fatto di carta!

Ultima nota.
La modernità di London: l’avversione per la borghesia. Borghesia: una parola che troviamo solo nelle opere dell’Ottocento. E sia! Ma sostituitela con un’altra parola: conformismo.
E tutto diventerà contemporaneo. E davanti a voi non ci saranno più i lunghi e ampi gonnelloni della borghese Ruth Morse, ma i pantaloni stracciati e firmati che girano tra gli scaffali dei nostri supermercati, gli IPad, le auto di lusso. Che magari non ci possiamo permettere, ma che occupano comunque i nostri sogni, che rappresentano il nostro ideale di vita. Esattamente come Ruth sognava un maritino ben vestito, che tornasse a casa dall’ufficio alla sera.



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