di Giuseppe Leuzzi. Un Heidegger inedito che si legge per i contributi critici. Carlo Augusto Viano ne liquida la metafisica, “banale”. In questo testo e più in generale. Infastidito anche, malgrado la rivista che lo ospita, dal vezzo persistente della “cultura di sinistra antimoderna o, come prese a chiamarsi, postmoderna”, di rifarsi a Heidegger “per mettere in guardia contro ciò che il Führer aveva fatto, addossandone la responsabilità alla cultura liberale” – una delle“imposture che i seguaci di Heidegger hanno diffuso a piene mani”.Giovanni Reale sbriga in poche parole la questione dello Stato di Heidegger e la Repubblica di Platone: non hanno nulla in comune. Gianni Vattimo invece si arrampica sugli specchi per dire la filosofia di Heidegger non nazista. Che non sarebbe difficile. Ma Vattimo evita di dirsi, e dirci, cos’era il nazismo. Se lo si confina alla follia è pure facile, ma non è possibile. La questione di cos’era– cos’è: la Germania non ne parla ma non se ne è vaccinata – il nazismo resta inevasa. Sì, la guerra perduta dopo averla vinta. Sì, la Soluzione Finale. Ma poi? Nell’attesa, questo si può dire: il nazismo, eccettuata la sconfitta, fu tutto quello che Heidegger voleva, il Volk, la Germania “greca”(che nessuno, non solo Vattimo, ci dice ancora cosa voleva dire), superiore, pura. Tutte scemenze, pericolose, ma quello è.Il testo è la sintesi che le matricole di Friburgo fecero di un’esercitazione che il neo-rettore Heidegger volle dedicare loro, le menti vergini, nel 1933-34. Dieci ore di lezione, alcune spese metodologicamente sulle nozioni di essenza e di concetto, il resto a portare i neofiti all’adorazione di Hitler. Roba di poco conto, tanto più nelle dispense studentesche. Se non per l’incarnazione esplicita dello Stato ne “il Führer e il suo popolo”: “Solamente dove guidatore e guidati (Führer e Geführte) si legano collettivamente in un destino e lottano per la realizzazione di una idea, cresce un ordinamento statuale… L’esistenza e la superiorità del Führer sono incarnati nell’essere, nell’anima del popolo, legandolo con originalità e passione al compito. E se il popolo sentirà questa dedizione, si lascerà guidare nella lotta e amare e volere la lotta”.Non è la sola ridicolaggine. La “necessità di un Führer” ricorre altre tre o quattro volte nell’esercitazione. Con l’affettuosa conclusione che non a torto il Führer era stato detto “Tamburino”, per i suoi discorsi persuasivi e la potenza delle sue azioni. Anche perché l’“avversione” è una “relazione di privazione che si trasforma in un evidente rapporto di negazione”, nulla di più: non c’è resistenza possibile, sia pure nella “costrizione”.In altro testo, più impegnativo, così il filosofo Heidegger presentava la storia:“Quando girano le eliche di un velivolo non accade propriamente nulla. Ma se il velivolo porta Hitler da Mussolini, allora accade la storia. Il volo diventa storia. La storia è cosa rara”.Per ridicolo che sia filosoficamente il Führerprinzip, è un fatto – con e senza Heidegger: l’identificazione di popolo e capo. Si potrebbe cominciare da qui a chiarire il nazismo. Che fu espresso dal popolo più filosofico, ricco e, a suo modo, potente d’Europa, che era il continente più industrioso e civile del mondo, mica da una tribù dispersa preda dello sciamano.
Martin Heidegger, Su essenza e concetto di natura, storia e Stato, ”Micromega”,n. 7\2013, pp. 51-96 € 15
Featured image, Friedrich Schelling “La filosofia della natura”.