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Martina Campi - Estensioni del tempo

Da Ellisse

Martina Campi - Estensioni del tempoMartina Campi - Estensioni del tempo - Le voci della luna Poesia, 2012 con note di Loredana Magazzeni e Enzo Campi ISBN 9788896048351
A proposito del tempo, Agostino nelle "Confessioni" osservava " Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so ". E' esattamente quello che accade ai poeti, potremmo dire, con l'aggiunta molto moderna di una spazialità piena di buchi, come quei rulli di carta che fanno suonare gli organetti di Barberia. L'unico problema è che sembra derivarne una disarmonia non prestabilita, o una poetica dell'elisione, che peraltro può avere i suoi elementi di interesse. Dunque, tempo e spazio, che Enzo Campi, nella postfazione, accosta filosoficamente alla poesia di Martina (che, sia detto per inciso, non è sua parente), in modo che questo estendersi del primo,  come dice il titolo, trovi una sua giustificazione nel secondo, facendone poeticamente, dico io, un non luogo. Qualcuno sostiene che  siano in realtà tutti (o almeno tempo e spazio) la stessa cosa, ma il senso di questo oscuro discorso è che il tempo è un materiale difficile per un poeta, e che una delle caratteristiche della poesia contemporanea, soprattutto italiana, è la lamentazione (sia detto nel senso tragico del termine) sul tempo, accompagnata dalla contemporanea elisione della traccia che esso lascia come una bava di lumaca, cioè la storia (o la Storia, se preferite). Ne consegue che se non c'è storia, l'io che è possibile rintracciare in detta poesia è astorico, è chiunque, non è un personaggio, è una funzione grammaticale. Non si tratta mica di nostalgia per una sorta di unità aristoteliche riportate a lucido, dobbiamo semplicemente attenerci al fatto che così' è (e non da ora), almeno su questo versante della produzione poetica. Direi che è naturale che anche in questo caso ne consegua una poetica del momento, come se l'estensione del tempo in cui si vive, di cui è fatta la nostra vita, non fosse che l'ampliamento del lago in cui il momento stesso annega senza nemmeno smuovere un'onda. Il momento "è", e qui si torna ad Agostino, e si torna anche all'eterno presente tanto frequente in poesia quanto (per dirla con Bergson) poco "cosciente" del fatto che se non sa farsi passato semplicemente non è. E' naturale perciò che anche il linguaggio, la tessitura sintattica, il ritmo (esso stesso "tempo") si diradino, si allarghino, si estendano evidenziando spazi bianchi, marcate interlinee, divisioni strofiche apparentemente arbitrarie,  versi anche di un solo lemma che volgono rapidamente a capo, in cui il lettore balbettante  misura un certa inanità di sè di fronte a una realtà sfuggente, difficile da comprendere (ovvero catturare) anche per piccoli frammenti, siano essi di relazioni amorose, di luoghi, di intuizioni quasi casuali davanti a uno specchio, di fatti che - semplicemente - accadono. In questi interstizi, in questi vuoti in cui "il bianco - avverte Wittgenstein in un esergo - è anche una specie di nero", vive - oggi - il poeta. (g.c.)
Piano Marino
Giotto aveva la terra sui calzari
dopo la pioggia e i mari e
le navi
le navi in attesa di rientrare
in porto
passeranno la notte al largo
Gli specchi negli ascensori
sono per sfuggirsi appena
appena un ciuffo
il colletto,
l'occhio che cade,
il mondo per le scale.
Vendemmia
Si sgretola la vigna.
Reduce
d'acqua e
   vento
scampata
alle
ceneri
sopravvissuta
alle
voci
e alle
circostanze
gravide
del giovedì
la bellezza dei volti.
Vedersi, dopo tanto
e non sentirlo
il tempo
e poi, ancora
dirci
i giorni.
e quindi se hai
le mani a coppetta ti
ci può piovere dentro
di tutto
i sassolini che ti guardi
finché camminando
scricchioli
lo zucchero mentre fuoriesce
dai barattoli
del mattino, lucidi
perché le mani
ti ricordano
quando hai nuotato
al largo, la prima volta
e poi lo raccontavi.
Una concessione
Nell'abbraccio
ci si stratifica o si prende
il volo
il volo sottratto del venire
al mondo, il volto
addomesticato
gli strati di una
ritirata
necessaria perché terrosa.
Accadono soprassedendo, acuminati
sterminati, infranti
dolenti sui confini
gli stati dell'assenza
le superfici assolate
le morbidezze, nei ritrovamenti.
Nella terra
Il passato non è passato
il passato è movimento
le parole sono ferme, le parole sono
gli smarrimenti nella terra sono le parole
e la terra ha calci e polvere
(il colore è sempre quello rosso)
Come luce come fessura come
dita, che si toccano che non si
riconoscono la pelle
i fiumi, le maiuscole
le iniziali
da qualcuno, presto da qualcuno
per lasciargli lo spazio
malato, santo, che prende
spazio
il mattino poco per volta,
per scelta
sulla pancia.
senza nome #3
qualcosa
si muove
lento, sotto
questo caos
è una pioggia
che si addice
e poi, altrove
neve
le gocce
cadono
in traduzione propria
le mani
sono manifesti
emotivi
la via d'uscita
è l'amore
la salvezza è
lasciarsi
all'amore.
Con te n te  zza/e
Forse era d'estate
la ascolto ancora e ancora
e finalmente abbiamo finito
di ridipingere tutto
per i libri, entrambi
tutto quello che c'è intorno
e bisognerebbe invece
lasciarlo fuori, forse, dov'è già
rendendoci d'amore trasparente
chissà
davvero, così a bruciapelo
lo faresti?
Con lo specchio
da capogiri sempre
onirici omaggi
a "quel" Tarkovsky
o
smettere di preoccuparsi
inquieti per non sentirci
"definiti" -
ci siamo, in questo
è chiaro, chiaro come
il nostro pensiero cangiante!
Ti basta? A me mai. Ma a volte,
saperlo, mi sente.
Poi ci sono le persone
E ci sono i movimenti
E se ti raccontassi
Del voler bene?
Nelle pause
I.
La porta priva di
maniglia e fessure si chiude
al di là
tu
ti apri
il vento
e la carne, lo smarrimento
e la confusione
potevano essere caduti
durante la risalita come
monetine
o foglietti
scritti
da qualcun altro
Una stanza priva
di pareti
tenuta su
dalla sua pena
/spingerti/ disincollarti/
/arricciarti/ in
acrobazie /altamente/
opprimenti
perdersi in un suono di conchiglia.

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