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Maryland (Disorder) di Alice Winocour: recensione

Creato il 03 novembre 2015 da Onesto_e_spietato @OnestoeSpietato

Maryland di Alice Winocour, presentato nella sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes 2015, è un buon thriller che sa lavorare sulle atmosfere e sui personaggi. Ma gli manca qualcosa…

Disorder-Maryland-filmMaryland. Disorder. Disordine mentale, materiale, sentimentale dei due protagonisti. Il primo è Vincent (Matthias Schoenaerts), soldato francese delle Forze Speciali appena rientrato dall’Afghanistan, affetto da un disturbo da stress post-traumatico. Il secondo è Jessie (Diane Kruger), moglie di un ricco uomo d’affari libanese implicato in loschi traffici. Quando quest’ultimo parte per un viaggio di lavoro, Vincent viene assunto per garantire la sicurezza di Jessie. Ma la lussuosa villa che li ospita si trasformerà presto in una prigione messa sotto assedio dai nemici del marito…

Maryland è un film di peso, di quelli che si muovono con gli scarponi, di quelli che non giocano di fioretto. Palesa questa sua indole aggressiva sin dalla prima sequenza: rallenti su un gruppo di militari che marcia nel fango verso il fronte di battaglia. Maryland è un po’ truzzo e un po’ tamarro, ma con classe, con lo smoking e la fotografia curatissima e sfarzosa. Un film che fa della suggestione, soprattutto sonora, l’arma di difesa di una sceneggiatura debole, volontariamente debole. Maryland sa quali sono le carte che vuole giocarsi e sa difendersi con dignità. Erge la colonna sonora a sua guardia del corpo. Una colonna sonora rombante, affollata di suoni graffiati, sgranati, dissonanti. Immergendoci come in una discoteca dai volumi assordanti, un espediente che converge nella creazione del profilo di Vincent, tormentato da allucinazioni, paranoie, sensazioni di continuo pericolo imminente.

Matthias Schoenaerts e Diane Kruger sanno spartirsi bene lo schermo. Lui confeziona un’ottima performance, tesa, rabbiosa, a tratti inquietante, senza mai scivolare verso l’eccesso. Il suo volto e la voluminosità del suo corpo da pugile di periferia monopolizzano e saturano lo schermo. Lei, di una bellezza slavata e affascinante, è precisa e morigerata anche nei momenti di paura e di pericolo, sintomo di una prova d’attrice che dimostra anche il lavoro compiuto sugli attori dalla regista.

Alla fine della fiera, però, qualcosa manca a Maryland. Il finale funziona, ma non scioglie il (nostro beneficio) del dubbio sul fatto che manchi quel passo in più per svincolare Maryland dalla scomoda etichetta dell’esercizio di stile.

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